MONZA – Sergio Bramini non è ancora partito per Roma, ma ha appena consegnato al vicepremier Luigi Di Maio un emendamento per l’abrogazione dell’articolo 560 del codice di procedura civile, che potrebbe in questo modo sventare quei 500mila sloggi previsti nei prossimi sei mesi.
L’imprenditore monzese fallito a causa dello Stato e oggi consulente del vice premier pentastellato non si arrende. Bramini per molti anni ha lavorato nel settore della raccolta dei rifiuti, vincendo appalti nel Sud Italia: tutto è filato liscio fino a quando le Pubbliche Amministrazione non hanno più pagato e Sergio Bramini ha dovuto, comunque, garantire il suo prezioso servizio, soprattutto in quegli anni di emergenza rifiuti a Napoli e in Sicilia. Ha tenuto duro, ha ipotecato la sua casa per evitare di dover chiudere l’azienda e lasciare sulla strada i suoi 32 dipendenti e le rispettive famiglie nella certezza che, prima o poi, le Pubbliche Amministrazioni avrebbero onorato il loro debito. Ma questo non è avvenuto e nel marzo 2011 l’imprenditore monzese ha dichiarato fallita la sua azienda.
Poi una lunga (lunghissima) battaglia legale che all’inizio di quest’anno lo ha visto, suo malgrado, protagonista della scena mediatica e politica, emblema dell’imprenditore messo in ginocchio a causa dello Stato inadempiente ai suoi doveri.
Lo scorso 18 maggio Sergio Bramini ha dovuto abbandonare la sua villa acquistata negli anni Ottanta e valutata dalle banche oltre due milioni di euro: ribattuta poi al ribasso di un milione e 700mila euro dal Tribunale di Monza e battuta poi all’asta nel dicembre del 2017 a poco più di 500 mila euro. Un’asta andata deserta. “La nuova data non è ancora stata fissata – precisa Sergio Bramini – L’unica certezza è che è stato nominato il Pm in merito alle mie denunce contro le banche”.
Intanto la politica regionale e nazionale, alla vigilia delle elezioni dello scorso 4 marzo aveva iniziato a interessarsi al caso di Sergio Bramini. Di questo imprenditore (ma prima ancora uomo, marito, padre e nonno) che per salvare la sua abitazione acquistata con anni di duri sacrifici e cassaforte per la sua vecchiaia aveva raccontato ai giornali e alle televisioni la sua vicenda.
In occasione dello sfratto del 18 maggio persino i due futuri vice premier erano scesi in campo andando personalmente nella villa di Sergio Bramini annunciando davanti a stuoli di giornalisti l’impegno affinchè quanto accaduto a Sergio Bramini non si ripetesse più. Luigi Di Maio si era recato a Sant’Albino la sera prima dello sfratto, Matteo Salvini la mattina stessa dello sloggio esecutivo. Sloggio poi eseguito con Sergio Bramini costretto ad abbandonare la sua casa, trasferendosi con tutta la famiglia in un appartamento sempre a Monza.
Poi è cronaca delle ultime settimane. Il 2 giugno, giorno del giuramento del nuovo Governo il vice premier pentastellato ha confermato la volontà dell’incarico a Sergio Bramini. La macchina burocratica resta lenta, ma nell’attesa Sergio Bramini – da bravo imprenditore – non è rimasto con le mani in mano. L’obiettivo è quello di redigere una legge, già ribattezzata Legge Bramini, che vieta lo sfratto dalla prima casa. Ma nel frattempo ha già redatto un emendamento, consegnato ieri a Di Maio al ritorno dal raduno di Pontida e dalla festa del Movimento 5 Stelle a Zanica.
“Anche se non sono a Roma sto lavorando sodo insieme agli avvocati dell’associazione Favor Debitoris – ha spiegato – Domenica ho inviato al vicepremier Luigi Di Maio (che lo ha voluto come consulente) la proposta per la creazione di un emendamento che salverà dallo sloggio almeno due milioni di persone. Entro i prossimi sei mesi sono previsti almeno 20mila sloggi alla settimana in tutta Italia, soprattutto nell’Italia centro meridionale. Un autentico disastro sociale con famiglie che dall’oggi al domani si ritroveranno senza una casa, senza un tetto sopra la testa”.
L’obiettivo, come hanno spiegato i legali dell’associazione Favor Debitoris, gli avvocati Biagio Riccio e Monica Pagano è “intervenire, con immediatezza, per fare in modo che l’articolo 560 del Codice di procedura civile più volte modificato, da ultimo con la normativa di cui alla legge 119/2016, possa essere rivisto nella sua intelaiatura normativa, in modo che la renovatio sia più adeguata e consona alla Carta Costituzionale ed ai suoi fondamentali e sottesi principi di eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3 – scrivono anche sul proilo facebook – L’obiettivo, infatti, è quello di trovare un punto di ricaduta nel quale possono convergere sia l’interesse del creditore, volto ad ottenere un processo esecutivo che possa rendere più veloce la realizzazione della sua pretesa, ma anche quello del debitore, affinché non “perda il tetto della sua casa”, per tutto il tempo necessario all’inevitabile percorso forzoso, che inesorabilmente conduce alla vendita dell’immobile pignorato. Ecco allora che appare necessario ed ineludibile ricondurre ad equità la normativa proposta nel codice di rito all’articolo 560 Codice di procedura civile, per un’interpretazione sistematica che tenga in cale anche l’interesse del debitore, troppo negletto in questi ultimi tempi, caratterizzati da riforme legislative alluvionali, scritte ad usum delphini dai poteri forti.
Come è noto l’attuale formulazione dell’art.560 cpc – frutto della legge 119/2016 che come ha scritto Giuliano Scarselli- è stata redatta “sotto dettatura delle Banche”- consente al custode diverso dal debitore e nominato con l’ordinanza del Giudice dell’esecuzione che stabilisce le modalità della vendita forzata,di poter esigere dal debitore l’abbandono della casa che deve speditamente essere posta in vendita.
Il debitore ha poche possibilità di opporsi e tra l’altro innanzi allo stesso Giudice dell’esecuzione che ha decretato lo sfratto. Il custode può pretendere lo sloggio con una semplice lettera raccomandata ed avvalersi della forza pubblica”. Il caso Sergio Bramini docet.
Barbara Apicella