C’è chi passa alla storia per aver tagliato il traguardo prima degli altri. Lui no, se lo ricorderanno tutti per come l’ha tagliato quel traguardo. E in questo almanacco gli dedichiamo volentieri una pagina: perché quel giorno, il 24 luglio 1908, con la sofferenza di Dorando Petri alla maratona olimpica di Londra, vince tutto lo sport.
La scena forse l’avete in mente tutti. Questo straordinario atleta italiano che, stremato, crolla a pochi metri dal traguardo dopo aver distaccato tutti gli avversari. Per i pochi metri che gil restano lo sorreggono i giudici di gara, sinceramente convinti di aiutarlo. Il loro gesto, al contrario, lo penalizzerà: squalificato perché non è riuscito da solo sulle sue gambe.
Non è un gigante Dorando. Pare che non arrivi nemmeno ai 160 centimetri. Ma la voglia di correre l’ha nel sangue. Se ne accorgono gli addetti ai lavori quando, a 19 anni, nella città di Carpi ove si è trasferita la famiglia, si disputa una corsa importante. Schierato allo start c’è nientemeno che Pericle Pagliani, un campione a livello nazionale sulle lunghe distanze. Dorando Petri, appassionato di corsa, si precipita alla partenza ancora con gli abiti da lavoro addosso e, spinto dall’entusiasmo, rincorre il campione. Finiranno la gara insieme. E’ un talento da coltivare. Sulle lunghe distanze, in particolare, può dare del filo da torcere a tutti. Nel 1905 disputa la 30 chilometri di Parigi. Stacca i suoi avversari di oltre 6 minuti.
Arriva finalmente il grande anno, il 1908, quello delle Olimpiadi di Londra. Lui, ormai dominatore in Italia, il 7 luglio si qualifica correndo la maratona di Carpi in 2 ore e 38 minuti. Tempo da record a quell’epoca in Italia. Va a Londra accompagnato da grandi aspettative ma, purtroppo, anche da grandi fatiche: due maratone disputate in 17 giorni sono troppe ore, figuriamoci a quei tempi con una preparazione atletica tutto sommato approssimativa.
La grinta, però, non gli manca. Arranca di fronte al ritmo elevato della gara, ma piano piano rimonta tutti. Al trentanovesimo chilometro si libera anche della scomoda compagnia del sudafricano Charles Hefferon per andare da solo verso il traguardo.
Sarà un vero e proprio calvario. Negli ultimi 200 metri, ormai in piena crisi, cade ben quattro volte. Supera la linea d’arrivo sorretto dal medico e da un giudice. Per pensare alle sue condizioni, basti pensare agli ultimi 500 metri, percorsi in quasi 10 minuti d’orologio. L’andatura di un uomo che cammina lentamente. Dopo il traguardo sviene. Sarà squalificato per l’aiuto ricevuto.
Il modo drammatico in cui matura la sconfitta commuove tutto il mondo, non solo quello sportivo. Perfino la regina Alessandra decide di premiarlo: per consolazione ecco una coppa d’argento dorato. Arthur Conan Doyle, l’inventore di Sherlock Holmes, lancia invece una sottoscrizione per consentire all’italiano di aprire una panetteria al suo rientro in patria. Per una volta, insomma, un atleta diventa famoso nel mondo perché non ha vinto. Il nome del vero vincitore, lo statunitense Johnny Hayes, rimarrà solo nell’albo d’oro. Per fare la storia servono le imprese e il coraggio di crederci fino in fondo, anche se va male. E’ la legge dello sport, è la lezione di quel piccolo gigante di nome Dorando.
Gualfrido Galimberti