Siamo talmente abituati a usarlo nella nostra quotidianità, nelle sue diverse applicazioni, che difficilmente ci siamo chiesti da dove arriva e com’è nato. Il velcro, quel sistema di chiusura “a strappo” che troviamo sulle giacche, sulle borse, talvolta anche nelle scarpe, è stato brevettato ufficialmente il 2 agosto 1955.
L’iniziativa è di uno svizzero: George de Mestral, ingegnere di professione. Il mestiere, tuttavia, non ha alcuna attinenza con questa invenzione, visto che de Mestral è specializzato in circuiti elettrici e che l’idea del velcro gli viene in modo del tutto casuale. Tutto frutto della sua curiosità e del fastidio provato in un giorno all’aria aperta.
Già, è proprio un’escursione in campagna a stuzzicare la sua fantasia. O, meglio, a farlo sono quei fiorellini rossi che si ritrova attaccati ai vestiti e che non riesce a staccare così facilmente come avrebbe pensato. Dapprima è solo curiosità: come fanno a rimanere attaccati in quel modo? Per scoprirlo prende il suo microscopio e li studia con attenzione, scoprendo che sono muniti di piccoli uncini. Appagata la curiosità, però, ecco l’intuizione: trasformarlo in un’idea commerciale applicando lo stesso principio.
Ecco allora che nasce l’idea del velcro (da “velours”, ovvero velluto, e “crochet” che significa uncino). Un’invenzione che, come spesso accade, ha bisogno di essere perfezionata: il tessuto risulta poco affidabile e, pertanto, verrà sostituito da nylon e poliestere.
La portata di questa invenzione viene colta subito dagli astronauti. A loro cambia completamente la vita: basta pigiare o strappare per poter fermare o utilizzare gli oggetti dell’astronave. Il grande pubblico, invece, non è ancora pronto per questo sistema e impiegherà un po’ per adattarsi.
Oggi questo pratico sistema fa parte dell’uso quotidiano. Nonostante il diritto esclusivo di produzione sia scaduto nel 1978 scatenando diverse aziende in questo mercato, oggi per noi questo meccanismo continua a chiamarsi velcro. Nella sua semplicità contribuisce ad aiutarci nelle piccole cose. Grazie all’ingegnere curioso e a quei piccoli fiori di campagna.
Gualfrido Galimberti