MONZA – Lo scambiano per un nordafricano e la gente non entra nel suo negozio: quando gli abitanti del quartiere passano davanti alla sua vetrina si fermano per fargli i complimenti perché ascolta la musica italiana, un ottimo esercizio per integrarsi. Ma gli acquirenti latitano e se la situazione non cambierà alla fine dell’anno sarà costretto ad abbassare definitivamente la saracinesca.
Ha dell’incredibile la vicenda di Giuseppe Cataldo, 42 anni, italianissimo: nato a Bari il 26 giugno 1976, una lunga attività nei villaggi turistici, poi la crisi, la perdita del posto di lavoro e la decisione di aprire un negozio a Monza, in via Amati a pochi metri dal sottopasso di via Bergamo. Un franchising molto avviato e specializzato nella vendita di prodotti per l’igiene, pannolini per bebè e anziani.
Il problema non riguarderebbe il prodotto, ma la carnagione e la fisionomia di Giuseppe. “Sono stato costretto persino a mettere in vetrina un cartello con scritto che sono italiano – racconta – I monzesi non ci credono, pensano che sia nordafricano e non vengono a fare acquisti”.
Giuseppe non sa più che cosa fare: ha distribuito volantini anche alla festa della chiesa, fa pubblicità, soprattutto ribadisce a tutti quelli che glielo chiedono che è italianissimo. “Ho persino scritto a Barbara D’Urso – continua – Mi piacerebbe raccontare la mia storia in televisione: non è ammissibile non riuscire a fare decollare un negozio perché la gente mi scambia per un immigrato e non entra neppure a curiosare”.
I clienti, quelli fedeli, già conoscono il marchio del prodotto e arrivano dalla provincia di Monza e Brianza, Lecco, dalla zona del Nord Milano e persino dalla Svizzera. Ma di monzesi neppure l’ombra.
“Ho aperto il negozio due anni fa – precisa – Prima in fondo alla via Borgazzi, vicino alla via Asiago. C’era poco passaggio e anche il caso mediatico dei migranti ospitati nella palazzina non attirava clienti. Poi a settembre 2017 la scelta di trasferirmi in via Amati”. Una scelta sfortunata, malgrado l’elevato numero di anziani presenti nel rione. “C’è grande passaggio – continua – Tante mamme con i bambini, anche anziani. Ma nulla: la gente non si ferma perché mi scambiano per un immigrato”.
Giuseppe è molto demotivato. “Anche l’azienda non si capacità di questo insuccesso – continua – Sono state fatte indagini di mercato prima di aprire il negozio, e la piazza di Monza era comunque favorita. I clienti che conoscono il marchio vengono, ma i monzesi che non lo conoscono si fermano, mi guardano, mi scambiano per un nordafricano e se ne vanno via”.
Giuseppe non sa più a che santo votarsi: si sta già guardando intorno, sta inviando curriculum e ha già sostenuto alcuni colloqui. Ma all’idea di abbassare la saracinesca per il colore della pelle proprio non ci sta.
Barbara Apicella
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É assurda questa situazione, conosco benissimo Giuseppe e non si merita questo. Inoltre non è nemmeno normale l’atteggiamento che gli abitanti hanno nei confronti degli immigranti. Razzisti schifosi che dovrebbero vergognarsi