Correre una maratona non è da tutti. Vincerla è ancora più difficile. Se poi si tratta di quella olimpica e la correte a piedi nudi, siete destinati a entrare nella storia. Così è per Abebe Bikila, il forte atleta etiope, scomparso il 25 ottobre 1973 a soli 41 anni.
Atleta per caso, visto che di mestiere fa la guardia del corpo personale dell’imperatore Hailé Selassié, ma di sicuro ha uno straordinario talento per la corsa e, a dispetto del suo lavoro, compie un’impresa che lo eleva da quel ruolo di secondo piano, quasi esercitato nell’ombra, che ha invece nella vita quotidiana.
Si presenta alle Olimpiadi di Roma 1960 decidendo, d’intesa con il suo allenatore, di correre l’intera distanza a piedi nudi. Vuole essere il suo modo per riaffermare la forza di un Paese e la sua origine semplice, ben lontana dal quel colonialismo europeo che vuole imporre nuove regole e impoverire ancora di più quelle terre. Non sarà l’unico messaggio che lancerà agli occhi di tutto il mondo. E’ solo quello più evidente. L’altro, che all’inizio soltanto in pochi riusciranno a cogliere, è quello di un’Africa che è sempre più pronta a confrontarsi a livello sportivo con gli Stati economicamente più ricchi. La sua medaglia d’oro (con tanto di record olimpico) è la prima per il continente nero. La prima di una lunga serie.
Dopo quell’impresa c’è chi si interroga anche su un possibile bis. La risposta arriva alle Olimpiadi di Tokyo quattro anni più tardi. A dire il vero Bikila a quell’appuntamento pare che non possa neanche presentarsi a causa dell’operazione subita per l’appendicite poche settimane prima dell’inizio dei Giochi. Non ha neanche la possibilità di allenarsi.
Ma alle sue spalle c’è tutta l’Africa che spinge. Facile immaginare come finisce: ancora primo al traguardo, con più di 4 minuti di vantaggio sul secondo, il britannico Basil Heatley. Con il successo Bikila sarà anche il primo nella storia a vincere due medaglie d’oro nella maratona.
Gli andrà male, invece, nel 1968 a Città del Messico. Gli acciacchi e l’età, 36 anni, che si fa sentire oltre alla mancanza di adattamento all’altura: si ritirerà durante la corsa.
La vera tragedia, però, per lui non è la sconfitta sportiva: è l’incidente automobilistico in cui rimane coinvolto un anno più tardi ad Addis Abeba. Rimarrà paralizzato alle gambe. Sportivo nell’animo, non si darà per vinto e gareggerà alle Paralimpiadi di Heidelberg del 1972 nel tiro con l’arco. Poi, nel 1973, un’emorragia cerebrale ce lo porterà via all’età di 41 anni. Per lui, comunque, resta un posto nella storia, non solo quella sportiva.