E’ un fatto che rimarrà scritto nelle pagina della nostra storia e che, come tale, non possiamo fare a meno di non notare per il nostro Almanacco: il 9 novembre 1989 cade il Muro di Berlino. Non ancora dal punto di vista fisico (quello accadrà l’estate successiva), ma dal punto di vista sociale e politico con l’apertura delle frontiere di Berlino Est. Il Muro dal 1961 divideva in due la città, ma oltre a essere una barriera fisica insormontabile (salvo il rischio di prendersi una fucilata nella schiena), segnava a tutti gli effetti una profonda divisione tra il mondo occidentale e quello filosovietico, tra il capitalismo e il comunismo.
Il muro non viene eretto subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. La prima vera conseguenza è la divisione della città in quattro zone, controllate da Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Unione Sovietica. Con il quartiere di quest’ultima che, di fatto, circonda le altre tre zone “occidentali”. Non è nemmeno vietata la libera circolazione: i cittadini possono spostarsi liberamente da una zona all’altra finché, la guerra fredda, impone misure sempre più restrittive. Con il 1952 si arriva alla chiusura del confine. Il muro sarà eretto nell’agosto 1961 per bloccare il continuo passaggio dei cittadini da Berlino Est a Berlino Ovest.
All’inizio, naturalmente, non è un vero e proprio muro: si tratta solo di filo spinato. Ma basta lasciar passare un paio di giorni per vedere i primi tratti di muro edificato con parti prefabbricate. Uno dopo l’altro, si chiuderanno ad anello attorno a Berlino Ovest. Il primo risultato voluto dai sovietici è subito ottenuto: invece dei precedenti 2 milioni e mezzo di cittadini che si erano spostati a Berlino Ovest tra il 1949 e il 1962, diventeranno 5 mila nei 27 anni successivi.
In totale si tratta di 155 chilometri di muro, che nel giugno 1962 viene raddoppiato con un altro esattamente simile ma arretrato di qualche metro. Tra i due si crea la cosiddetta Niemands Land, la terra di nessuno. Per molti il nome sarà meno poetico e diventerà la “striscia della morte”. Ovvero superando una riga rossa situata tra le due muraglie si autorizza il soldato di turno a fare fuoco.
C’è poco da scherzare o da tentare una sortita: perché con il 1975 si arriva anche a ultimare un fossato anticarro da 105 chilometri, mentre già si innalzano 302 torri di guardia con cecchini, 20 bunker, pattugliamento continuo lungo una strada di 177 chilometri.
Nonostante tutto, c’è chi non riesce ad accettare le condizioni di vita imposte dai sovietici. Saranno 5 mila i cittadini che fuggiranno con successo, mentre più di 200 moriranno durante l’audace tentativo di andare all’Ovest. Non mancano casi difficili da dimenticare: come i colpi di mitraglia scaricati sulla ottantenne Olga Segler. O, ancora, i 27 colpi sparati addosso alla diciottenne Marienetta Jirkowsky. Stessa sorte anche per i bambini. Vi risparmiamo i dettagli, c’è solo da tirare fuori il fazzoletto di tasca per asciugarsi gli occhi e dire una preghiera.
Quando il 23 agosto 1989 l’Ungheria apre le sue frontiere al confine con l’Austria, 13 mila tedeschi dell’Est cercano di scappare. E’ l’inizio di un un’ondata di protesta contro la Germania Est e la sua politica restrittiva. Il premier Erich Honecker si dimette, il successore Egon Krenz si trova costretto a concedere ai tedeschi dell’Est il permesso per viaggiare in quella dell’Ovest. Il 9 novembre decine di migliaia di persone dall’Est si riversano verso l’Ovest in un momento in cui il loro Governo è impreparato e le guardie non sanno come reagire. I soldati sono costretti ad aprire i posti di blocco, i tedeschi dell’Est vengono accolti in modo festoso da quelli dell’Ovest.
Più del muro e della divisione vince il senso di fratellanza di un popolo che vuole dimenticare i decenni più tristi della sua storia. Nove mesi più tardi, il 21 luglio 1990, il muro verrà fisicamente abbattuto. Da qualsiasi punto di vista ci si voglia oggi porre, è l’inizio di una nuova era.