E’ sempre stata celebrata da tutti come la “noble art”, ma sono sventoloni che fanno male. Anzi, anche molto peggio: il 13 novembre 1982 si scopre che per pugilato si può anche morire.
Sul ring, per quell’incontro finito in modo tragico, c’è il detentore del titolo Wba (World Boxing Association), l’italoamericano Ray “boo boom” Mancini. Contro di lui il coreano Kim Duk Koo.
Il campione in carica è il grande favorito. Personaggio molto popolare, a tutt’oggi uno dei più famosi nella storia dei pesi Leggeri, che proprio nel 1982 riesce a conquistare la cintura più prestigiosa del mondo.
Nella carriera di Mancini (figlio d’arte: suo papà, originario di Bagheria, è stato pugile a sua volta), c’è anche una sconfitta rimediato durante l’assalto al mondiale Wbc (World Boxing Council). Nel maggio 1982, però, con un paio di sganassoni bene assestati strappa il titolo dal campione Arturo Frias mandandolo al tappeto al primo round.
Riesce a difendere il titolo contro il venezuelano Ernesto Espana, poi il 13 novembre 1982 sale di nuovo sul ring contro Kim Duk Koo.
Non si tratta proprio di uno sconosciuto. E’ il numero uno del ranking Wba, 17 vittorie al suo attivo (di cui 8 per ko) oltre a un pareggio e a una sconfitta. E anche il clima che precede il match è decisamente “caldo”. Mancini è convinto che si tratti di un avversario di valore. Il coreano, da parte sua, in albergo scrive una frase che oggi fa rimanere increduli visto com’è andata a finire: “Vivere o morire”.
L’incontro è terribilmente drammatico. Entrambi i pugili spossati. Si arriva alla quattordicesima ripresa con il coreano in evidente difficoltà, mentre Mancini ha le mani gonfie e un occhio chiuso. Riesce tuttavia a portare più colpi del suo avversario. Ben 39 quelli che gli aveva rifilato nella ripresa precedente. Stavolta, invece, bastano due destri per spedirlo al tappeto. Kim Duk Koo cade pesantemente al suolo. Cerca orgogliosamente di rialzarsi, ma l’arbitro decide che è più che sufficiente per dire basta.
Negli spogliatoi, però, l’asiatico entra in coma. Viene portato in ospedale e operato d’urgenza alla testa: morirà quattro giorni più tardi.
L’episodio così tragico avrà conseguenze per tutti. Mancini, caduto in una profonda depressione e preso da sensi di colpa, non riuscirà più a combattere. Lo farà una volta sola, spinto dal manager e dagli amici, ma perdendo il titolo mondiale. L’arbitro dell’incontro, anche lui vinto al rimorso per non avere interrotto prima il match, si toglierà la vita nel luglio dell’anno successivo. Cinque mesi prima di lui il gesto era stato compiuto per la disperazione della mamma del coreano, morta bevendo una bottiglia di pesticida.
Cambierà anche il mondo del pugilato. Nuove regole, più attenzione per gli atleti. Perché nello sport si vince e si perde, ma morire è davvero assurdo.
1 Comment
Però Ali con la boxe ha rivoluzionato il mondo. Ha vinto grandi battaglie umane e politiche. I pugni fanno male, è vero, ma riscattano anche popoli. Considerando questo, credo che la boxe esprima anche grandi valori per i quali si possa assolvere.