MONZA – Da Monza una speranza di poter condurre una vita normale per i malati di leucemia mieloide cronica. Una patologia che un tempo non lasciava scampo: la mortalità era entro i tre anni dalla diagnosi. Oggi la terapia con Imatinib e altri inibitori della proteina Bcr/Abl, causa della malattia, hanno talmente cambiato la prognosi della leucemia mieloide cronica che ora un paziente può avere un’aspettativa di vita normale.
Lo studio coordinato dal professor Carlo Gambacorti Passerini, docente di Ematologia all’Università di Milano-Bicocca e direttore del reparto di Ematologia dell’Ospedale San Gerardo di Monza – finanziato dall’Associazione italiana ricerca contro il cancro e dalla Regione Lombardia, ha ulteriormente avanzato la frontiera della terapia di questa malattia.
“In molti casi arriviamo dopo alcuni anni di terapia in una situazione in cui non c’è più nessun segno rilevabile della presenza della leucemia – spiega il professor Gambacorti Passerini – e quindi non è semplice capire se il paziente vada trattato ulteriormente oppure no”.
Insieme ad altri 14 centri sparsi in Italia, Europa e in tutto il mondo, dal Canada ad Israele alla Corea del Sud, lo studio Isav (Imatinib Stop And Validation) ha coinvolto 112 pazienti affetti da leucemia mieloide cronica senza segni rilevabili di malattia da almeno 18 mesi che avevano interrotto la terapia e sono stati strettamente monitorati successivamente. I risultati finali dello studio, ottenuti dopo quasi sette anni dall’inizio, sono stati presentati ieri al meeting della Società Americana di Ematologia (American Society of Hematology ), il congresso ematologico di maggior rilevanza a livello internazionale, che si è appena tenuto a San Diego in California.
Circa la metà dei pazienti non ha dovuto riprendere la terapia con Imatinib, mentre nell’altra metà dei casi i pazienti hanno dimostrato un risveglio della malattia e quindi hanno dovuto riprendere la terapia: tutti i pazienti recidivati hanno comunque riottenuto una remissione della leucemia con la ripresa del trattamento e in nessun caso si è sviluppata resistenza al farmaco.
“È importante notare – aggiunge Carlo Gambacorti-Passerini – che mentre la maggior parte di questi pazienti ha sviluppato recidiva entro sette-otto mesi dall’interruzione della terapia, in alcuni casi ciò è avvenuto dopo anni, in un caso dopo quasi cinque anni”.
Dall’analisi dei dati è emerso che il rischio di recidiva è maggiore nei pazienti giovani, con meno di 45 anni di età. Questo risultato apre nuove prospettive di studio, al fine di comprendere quali siano i meccanismi sottostanti alla recidiva o al mantenimento della remissione della malattia nei diversi pazienti. Infatti anche molti dei pazienti non recidivati hanno mostrato saltuari test positivi per la presenza di cellule leucemiche, che si sono tuttavia auto-eliminate col tempo e senza la reintroduzione di Imatinib.
“Da un punto di vista pratico è molto rilevante sapere che alcuni pazienti affetti da leucemia mieloide cronica possono in effetti sospendere la terapia e che la loro percentuale è pari a circa il 20-25 per cento del totale – conclude – ma è altrettanto importante ricordare che la presenza di cellule leucemiche deve essere monitorata in ogni caso per diversi anni dopo la sospensione del trattamento”.