SEREGNO – Alla scoperta delle atrocità e della sofferenza attraverso l’alimentazione. Nasce così all’istituto alberghiero del Collegio Ballerini “Il pane povero della memoria”. Ovvero il pane realizzato dai futuri chef utilizzando esattamente la stessa ricetta e le stesse materie prime che permettevano di preparare i panini da distribuire alle persone internate nei campi di concentramento nazisti.
Una riflessione sulla Giornata della Memoria un po’ diversa, insomma, quella proposta nella scuola seregnese. Originale, ma decisamente efficace. Il pane del resto rappresentava la primaria forma di sostentamento per i tre pasti della giornata.
Con una razione scarsa e di pessima qualità. Ogni tanto gli internati avevano l’impressione di ritrovarsi quasi in un ristorante stellato quando il militare, a quel tozzo di pane quasi secco, dava una piccola spalmata di margarina quale premio in caso di una giornata di lavoro più produttiva del consueto.
I ragazzi, risalendo alla testimonianza di Seweryna Szmaglewska, ex prigioniera nei campi di concentramento, hanno così appreso che nei campi di concentramento il pasto della giornata consisteva in 300 grammi di pane (150 grammi per i bambini), un po’ di acqua, una brodaglia che con un po’ di fantasia assomigliava a una zuppa. I 300 grammi di pane dovevano bastare per il mezzogiorno e per la sera ma, se non si voleva rimanere a stomaco vuoto tutta la mattina, era meglio avanzarne un pezzo per la colazione.
Partendo da questi fatti storici, gli studenti del Ballerini hanno avuto l’occasione di riflettere su ciò che è stato davvero il dramma dei campi di concentramento. Poi, durante la settimana, hanno deciso insieme ai loro docenti di ricordare la Shoah facendo ciò che a loro viene meglio: cucinare. Grazie all’antica ricetta utilizzata nei lager, hanno riprodotto quel pane povero.
Il risultato non è stato esattamente lo stesso. Prima di tutto perché nei lager c’era chi si improvvisava panettiere mentre all’istituto alberghiero ogni ragazzo dà del tu a ogni ingrediente, conoscendone tutte le caratteristiche e la resa. E poi perché, a dire il vero, nei campi di concentramento ogni tanto la ricetta cambiava: oltre alla farina di segale, a quella di farro e a quella tipo “0”, per fare il pane capitava di usare anche la segatura o la calce. Anche questa è storia, pochi sopravvissuti hanno avuto la possibilità di raccontarla.
Gualfrido Galimberti