L’Ufficio studi della Cgia di Mestre segnala che oltre l’80 per cento dei lavoratori dipendenti del settore privato presente in Italia ha il contratto collettivo nazionale di lavoro scaduto. In termini assoluti, stiamo parlando di circa 12,6 milioni di operai e impiegati che attendono un rinnovo che, a seguito della recessione economica in atto, rischia di slittare anche quest’anno, alimentando una ulteriore flessione della dinamica salariale.
Afferma il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo: “Vista la caduta verticale dei consumi delle famiglie e l’andamento dell’inflazione che nel corso dell’anno scivolerà verso il quadrante negativo, c’è la necessità di appesantire le buste paga per dare un impulso alla ripresa della domanda interna. Ovviamente, ciò deve avvenire senza aumentare i costi fissi in capo alle aziende che, in questo periodo, non dispongono di risorse aggiuntive per farvi fronte. Pertanto, una strada percorribile potrebbe essere quella di ridurre per legge il costo del lavoro in capo ai dipendenti, in modo tale da trasferire questo risparmio fiscale e/o contributivo nelle tasche degli operai e degli impiegati”.
Secondo il Cnel, i contratti collettivi nazionali di lavoro vigenti nel nostro Paese erano, al 31 dicembre 2019, 922. Di questi, 126 sono in scadenza quest’anno. Dal dicembre del 2012, lo stock complessivo dei contratti è salito del 67 per cento. Il settore che presenta il numero più elevato di contratti è il commercio (244), seguito dagli enti e istituzioni private (114), edilizia (75), trasporti (70), agricoltura (53), aziende di servizi (47), poligrafici e spettacolo (43), alimentaristi agroindustriale (42), metalmeccanici (36), chimici (33), tessili (29), credito e assicurazioni (28) e Amministrazione pubblica (19).
Dichiara il segretario Renato Mason: “Sebbene negli ultimi anni il peso del fisco sulle retribuzioni risulti in calo, la dimensione del cuneo fiscale in Italia rimane ancora un forte ostacolo alla crescita, allo sviluppo degli investimenti e all’espansione dell’occupazione. Anche per queste ragioni bisogna ridurre le tasse ed i contributi sul lavoro, iniziando dalla componente riconducibile ai lavoratori dipendenti. Con buste paga più pesanti, infatti, la domanda interna registrerebbe degli effetti positivi. Questo provvedimento, altresì, migliorerebbe anche i fatturati degli artigiani, dei piccoli commercianti e in generale dei lavoratori autonomi che vivono quasi esclusivamente dei consumi delle famiglie”.