ROMA – Prestavano soldi a tassi impossibili, che arrivavano fino al 240 per cento l’anno, e per incutere terrore nei loro “clienti” millantavano l’appartenenza alla Banda della Magliana o legami con le famiglie dei Casalesi o dei Casamonica, arrivando fino alla ‘Ndrangheta.
La banda di usurai è stata smantellata questa mattina con l’esecuzione delle sette misure cautelari emesse dal Giudice per le indagini preliminari (Gip) del tribunale di Roma, al termine dell’operazione “Money box”. L’attività investigativa è stata svolta dalla Squadra mobile della Capitale con il coordinamento del “pool antiusura” della Procura della Repubblica di Roma.
Gli indagati sono accusati di usura, estorsione, riciclaggio, autoriciclaggio, esercizio abusivo di attività finanziaria e favoreggiamento reale; tre di loro sono finiti in carcere, altrettanti agli arresti domiciliari mentre al settimo è stato notificato l’obbligo di firma.
L’indagine, che si è sviluppata tra la fine dello scorso anno e i primi mesi del 2020, ha fatto luce sull’attività illecita del gruppo criminale, che aveva come base operativa un box adibito alla vendita di accessori per auto situato all’interno del mercato di Porta Portese.
Le vittime degli usurai erano in prevalenza piccoli imprenditori e persone in difficoltà economica che, non riuscendo ad ottenere finanziamenti attraverso i canali legali, si affidavano all’illegalità nella speranza di riuscire a saldare il debito in poco tempo; purtroppo spesso ciò non era possibile, a causa degli interessi altissimi, e dopo pochi mesi, il debito si raddoppiava o triplicava.
Non avendo più nulla da perdere qualche vittima ha deciso di denunciare gli aguzzini, dando così origine all’attività investigativa.
All’interno del gruppo c’era chi aveva il compito di prestare il denaro, mentre altri avevano quello di riscuotere i debiti. Uno di loro aveva, invece, l’incarico di mettere all’incasso gli assegni che le vittime avevano lasciato a garanzia dei loro prestiti; per fare questo sfruttava la copertura fornita dalla propria impresa edile, grazie alla quale giustificava le entrate come saldo di fatture.
L’attività dei criminali non si è interrotta nemmeno con l’emergenza Covid-19, durante la quale gli usurai si erano organizzati andando a riscuotere le “rate” direttamente a domicilio.