Con l’emergenza Covid più di una famiglia su quattro (26%) è tornata a cimentarsi nella preparazione di pasta semplice o ripiena fatta in casa, spinta da lockdown, smart working e dal maggior tempo passato tra le mura domestiche. E’ quanto emerge da una indagine Coldiretti/Ixe’ presentata in occasione della Giornata Mondiale della Pasta che celebra il 25 ottobre con show cooking contadini in molti mercati di Campagna Amica per svelare i segreti della preparazione della pasta casalinga proprio in occasione del varo del nuovo DPCM con le misure di confinamento nelle case per far fronte alla diffusione del virus.
La pandemia ha di fatto favorito – sottolinea la Coldiretti – uno storico ritorno al passato rispetto alle prime fasi dell’industrializzazione e urbanizzazione del Paese quando la conquista della modernità passava anche dall’acquisto della pasta piuttosto che dalla sua realizzazione in casa. Se in passato però erano soprattutto i più anziani ad usare il matterello adesso la passione si sta diffondendo anche tra i più giovani e tra persone completamente a digiuno delle tecniche di preparazione, magari con delle nuove tecnologie che hanno registrato un boom di vendite durante la pandemia.
Si cercano con attenzione la farine, magari utilizzando quelle degli antichi grani storici italiani, e quando non è possibile fare da soli si cerca comunque nello scaffale il prodotto che richiama alla genuinità e alla tradizione. Non a caso si è registrata nel 2020 una crescita boom degli acquisti di farina, cresciuti del 59% e delle uova che segnano un +22% proprio per effetto delle tendenza degli italiani a sbizzarrirsi preparando pasta fatta in casa, secondo un’analisi di Coldiretti su dati Ismea relativi ai primi sei mesi dell’anno.
E quanto non c’è tempo sufficiente si cerca comunque di far scorte dagli scaffali di pasta Made in Italy che utilizza solo grano nazionale con gli acquisti che sono cresciuti in valore del 29% nel 2020 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, trainata dalla tendenza dei consumatori a cercare prodotti di origine nazionale per sostenere l’economia ed il lavoro del territorio. Una vera e propria svolta patriottica favorita dall’obbligo dell’etichettatura di origine del grano impiegato fortemente voluta dalla Coldiretti che ha spinto le principali industrie agroalimentari a promuovere delle linee produttive con l’utilizzo di cereale interamente prodotto sul territorio nazionale. Un fenomeno che ha coinvolto tutti i principali marchi del Belpaese, tranne un paio di eccezioni.
Con la seconda ondata della pandemia il prezzo mondiale del grano ha fatto registrare un aumento del 16% nell’ultimo mese che sta sconvolgendo il mercato internazionale dei prodotti agricoli, secondo l’analisi della Coldiretti per i contratti future con consegna a dicembre alla chiusura settimanale del Chicago Bord of Trade (CBOT), il punto di riferimento internazionale delle materie prime agricole. All’effetto del boom di richieste di alimenti non deperibili, nutrienti e di facile consumo per le popolazioni confinate a casa, si aggiunge infatti la preoccupazione di garantire scorte in uno scenario di riduzione degli scambi commerciali e di cali produttivi dovuti all’andamento climatico.
“L’aumento delle quotazioni conferma che l’allarme globale provocato dal Coronavirus ha fatto emergere una maggior consapevolezza sul valore strategico rappresentato dal cibo e dalle necessarie garanzie di qualità e sicurezza” afferma il Presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “l’Italia deve riscoprire la propria tradizione agricola per puntare all’obiettivo della autosufficienza a tavola per difendersi dalle turbolenze provocate dall’emergenza coronavirus che ha scatenato corse agli accaparramenti e guerre commerciali con tensioni e nuove povertà. Ci sono le condizioni per rispondere alle domanda dei consumatori ed investire sull’agricoltura nazionale che è in grado di offrire produzione di qualità realizzando rapporti di filiera virtuosi con accordi che – precisa Prandini – valorizzino i primati del Made in Italy e garantiscano la sostenibilità della produzione in Italia con impegni pluriennali e il riconoscimento di un prezzo di acquisto “equo”, basato sugli effettivi costi sostenuti.
L’Italia è il Paese con il più elevato consumo di pasta per un quantitativo di 23,5 chilogrammi a testa contro i 17 chili della Tunisia, seconda in questa speciale classifica seguita da Venezuela (12 kg), Grecia (11 kg), Cile (9,4 kg), Stati Uniti (8,8 kg), Argentina e Turchia a pari merito (8,7 kg). L’ amore per la pasta è quindi diffuso a livello mondiale dove le esportazioni di pasta dall’Italia sono aumentate del 23% raggiungendo il record storico con un valore di quasi 1,9 miliardi di euro nei primi sette mesi del 2020, secondo un’analisi Coldiretti su dati Istat. A trainare le vendite all’estero sono gli Stati Uniti, dove gli acquisti di spaghetti e pennette Made in Italy sono balzati del 41%, ma anche nel Regno Unito dove il rischio di una Brexit senza accordo fa volare i consumi del 29%, Aumenti a doppia cifra anche in Germania (+22%) che si conferma il primo mercato di riferimento per la pasta tricolore, e in Francia (+17%) ma l’export cresce anche in Cina (+38%) seppur con quantità ancora limitate.