Più di quattro italiani su dieci (41%) per un totale di 24,4 milioni di persone sono fuori dalle zone rosse dopo il lockdown di tre giorni per Pasqua e Pasquetta. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti sulla nuova mappa dei colori con l’Italia divisa tra nove regioni in rosso e 11 regioni in arancione (Abruzzo, Basilicata, Lazio, Liguria, Marche Molise, Sicilia, Sardegna, Umbria, Veneto e Province autonome di Bolzano e di Trento).
Un cambiamento importante per buona parte della popolazione nazionale che – sottolinea la Coldiretti – riacquista spazi di libertà ma anche per molti operatori economici che possono riaprire dopo la dolorosa chiusura delle festività di Pasqua.
Con l’Italia senza zone gialle restano chiusi però per il servizio al tavolo o al bancone i 360mila bar, ristoranti, pizzerie ed agriturismi presenti lungo l’intera penisola con un crack da 7 miliardi per il mese di aprile. Come evidenziato dalle Regioni, che chiedono di valutare possibili aperture dopo il 20 aprile, si tratta di una situazione insostenibile – sottolinea la Coldiretti – dopo il lockdown di Pasqua che rischia di portare alla chiusura definitiva molti servizi di ristorazione e le filiere collegate.
Con le chiusure di aprile salgono a 1,1 milioni di tonnellate i cibi e i vini invenduti dall’inizio della pandemia per i crollo delle attività di bar, trattorie, ristoranti, pizzerie e agriturismi che travolge a valanga interi settori dell’agroalimentare Made in Italy. Al danno economico ed occupazionale si aggiunge il rischio di estinzione per oltre 5mila specialità dell’enogastronomia locale, dai formaggi ai salumi fino ai dolci, per la mancanza di sbocchi di mercato per l’assenza di turisti e la chiusura di ristoranti e agriturismi dove le tradizioni dai campi alla tavola sono tramandate da secoli. In pericolo con la pandemia c’è anche il primato nazionale della biodiversità conquistato dall’Italia in Europa.
Si stima che 330mila tonnellate di carne bovina, 270mila tonnellate di pesce e frutti di mare e circa 220 milioni di bottiglie di vino non siano mai arrivati nell’ultimo anno sulle tavole dei locali costretti ad un logorante stop and go senza la possibilità di programmare gli acquisti anche per prodotti fortemente deperibili. Numeri dietro i quali – precisa la Coldiretti – ci sono decine di migliaia di agricoltori, allevatori, pescatori, viticoltori e casari che soffrono insieme ai ristoratori.
La drastica riduzione dell’attività pesa infatti sulla vendita di molti prodotti agroalimentari, dal vino alla birra, dalla carne al pesce, dalla frutta alla verdura che trovano nel consumo fuori casa un importante mercato di sbocco. In alcuni settori come quello ittico e vitivinicolo la ristorazione rappresenta addirittura il principale canale di commercializzazione per fatturato ma ad essere stati più colpiti sono i prodotti di alta gamma dal vino ai salumi fino ai formaggi.
L’aumento della spesa alimentare delle famiglie italiane del 7,4% nel 2020 per il maggior tempo trascorso a casa non ha purtroppo compensato il crack che si è verificato nella ristorazione con il dimezzamento del volume di affari (- 48%) con il risultato che i consumi alimentari degli italiani che nel 2020 scendono al minimo da almeno un decennio con un crack senza precedenti da 30 miliardi, secondo analisi Coldiretti su dati Ismea.
“Anche alla luce dell’avanzare della campagna di vaccinazione, se le condizioni sanitarie lo permetteranno diventa importante consentire le aperture dei locali della ristorazione” afferma la Coldiretti nel sottolineare peraltro che “con l’arrivo del bel tempo le chiusure favoriscono paradossalmente gli assembramenti all’aperto sulle strade, nelle piazze e sul lungomare. Nei locali della ristorazione sono state invece adottate importanti misure di sicurezza, quali il distanziamento dei posti a sedere facilmente verificabile, il numero strettamente limitato e controllabile di accessi, la registrazione dei nominativi di ogni singolo cliente ammesso.