Le previsioni del Fondo Monetario Internazionale dello scorso 11 ottobre indicano che un terzo delle economie mondiali registrerà una recessione tecnica, con due trimestri consecutivi di contrazione, mentre nel 2023 il PIL in Germania calerà dello 0,3% e in Italia dello 0,2%.
Con un tasso di inflazione mondiale che sale dal 4,7% del 2021 all’8,8% nel 2022, per poi collocarsi al 6,5% nel 2023, le banche centrali adottano in modo diffuso politiche monetarie restrittive. La stretta monetaria potrebbe essere prolungata, amplificando gli effetti recessivi; uno shock inflazionistico da costi, ad esempio come quello del 1979, rientra con lentezza verso l’obiettivo del 2%, il target di riferimento per le banche centrali.
In Italia, la salita dei tassi di interesse potrebbe accelerare con un allargamento degli spread sul debito sovrano: lo spread tra il rendimento dei titoli di stato decennali italiani e tedeschi (Btp e Bund) ad agosto 2022 è pari a 227 punti base, quasi il doppio rispetto ai 117 punti di un anno prima. Il più marcato aumento dei tassi sui nuovi prestiti alle famiglie per acquisto di abitazioni registrato da inizio 2022 rallenta il settore immobiliare e quello delle costruzioni, comparti che hanno integralmente sostenuto la ripresa post-pandemia.
Sul mercato dei cambi si registra una marcata volatilità, con la svalutazione dell’euro e della sterlina e ampie fluttuazioni di yen giapponese, lira turca, oltre che del rublo russo. Il dollaro forte rialza il rischio per le economie emergenti con un alto debito estero. Le condizioni di turbolenza sono sintetizzate dalla salita dell’indicatore di stress sistemico della Bce, che si avvicina ai livelli della crisi dei debiti sovrani del 2010-2011. L’ampia dimensione mantenuta dai derivati, il cui valore nominale è di 598,4 miliardi di dollari, potrebbe amplificare l’instabilità finanziaria.
87 mila Pmi a rischio default – L’incremento dei prezzi delle materie prime, la crisi energetica e gli effetti della guerra in Ucraina alzano il rischio finanziario delle imprese. Sulla base di una analisi dei dati dell’Osservatorio rischio imprese di Cerved, nel 2022 sono 87mila micro e piccole imprese, pari al 15% del totale di 618 mila società di capitale monitorate, che sono classificate a rischio, presentando “gravi problemi che ne possono pregiudicare la capacità di far fronte agli impegni, anche a breve termine. Il rischio di credito è elevato, molto elevato o massimo”.
Sulla finanza aziendale sta pesando il termine del periodo di preammortamento a due anni dall’attivazione dei prestiti garantiti, oltre il quale si avvia la restituzione completa della quota capitale e di quella interessi. Rimane ampio lo stock di prestiti garantiti: nel monitoraggio del Documento Programmatico di Bilancio 2022 approvato lunedì scorso si evidenzia che lo stock di garanzie statali relative al Fondo di garanzia al 30 giugno 2022 è pari al 9,5% del PIL.
L’indebitamento delle imprese – Nel I trimestre 2022 il rapporto tra prestiti alle imprese e PIL si attesta sul 36,9% (il 51,9% del debito delle società non finanziarie è rappresentato da prestiti bancari mentre il resto sono prestiti di altra natura e titoli): continua l’allontanamento dal massimo di 40,4% del I trimestre 2021 ma resta superiore ai livelli pre-crisi (35,1% nel IV trimestre 2019). In forte ascesa la percentuale netta di imprese che riportano difficoltà di accesso al credito. Nel Bollettino economico di luglio, Banca d’Italia segnala che la liquidità detenuta dalle imprese resta su livelli storicamente elevati.
Dinamica dei prestiti – Ad agosto 2022 i prestiti alle società non finanziarie crescono del 4,8%, la metà rispetto al +8,4%, massimo storico del decennio di dicembre 2020 ma che si inserisce in un percorso di crescita progressiva iniziata dopo il recente minimo di +0,6% di novembre 2021.
L’analisi dei dati trimestrali su base dimensionale indica che i prestiti alle piccole imprese dopo aver toccato il picco storico dell’8,9% a marzo 2021, hanno iniziato a rallentare per entrare in campo negativo nel 2022: a giugno 2022 diminuiscono dello 0,8%, di molto inferiore rispetto al +5,3% di un anno prima, mentre il totale imprese mostra una crescita del 2,3%.
A livello territoriale i prestiti alle piccole imprese crescono in sette regioni: Sardegna con il +2,9% (vs. 3,5% totale imprese), Lazio con il +2,0% (vs. 0,9% totale imprese), Campania con il +1,4% (vs. 3,3% totale imprese), Puglia con il +1,3% (vs. 4,4% totale imprese), Calabria con il +1,3% (vs. 3,1% totale imprese), Sicilia con il +0,3% (vs. 0,3% totale imprese), Basilicata con il +0,2% (vs. 3,3% totale imprese) e Molise stabile (vs. 6,6% totale imprese). All’opposto i cali più intensi sono in Provincia Autonoma di Trento (-3,8% vs. 0,8% totale imprese), Friuli-Venezia Giulia (-3,3% vs. 5,6% totale imprese) e Veneto (-2,8% vs. 2,1% totale imprese). Solo in Lazio e Piemonte la performance dei prestiti alle piccole imprese è migliore di quella del totale imprese.