SIRACUSA – Attraverso riti voodoo reclutava giovani donne in Nigeria da destinare alla prostituzione in Italia. I poliziotti delle Squadre mobili di Siracusa e Foggia hanno arrestato una donna di nazionalità nigeriana, accusata dei reati di tratta di esseri umani, riduzione in schiavitù, aggravati dall’aver agito anche in danno di minori, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, sfruttamento della prostituzione nonché autoriciclaggio dei proventi dell’attività illecita.
Le ragazze subivano minacce di morte per sé e per i loro familiari e contraevano un debito di circa 30mila euro. Grazie al forte potere di intimidazione derivante dalla sottoposizione al rito “Ju-Ju”, una variante del rito voodoo, l’indagata riusciva a convincere le giovani donne a scappare dai centri di accoglienza, dove erano collocate dopo l’arrivo in Italia.
L’indagine ha avuto inizio dopo la denuncia di una giovane migrante appena giunta nel nostro Paese che, ignara circa le sorti che l’attendevano, e soltanto dopo esser stata sottoposta a violenze fisiche e psichiche ad opera dei “sorveglianti” durante il soggiorno libico, aveva deciso di chiedere aiuto alla Polizia.
Gli investigatori hanno accertato che l’indagata era stata in grado di “gestire”, nell’arco di pochi mesi, il viaggio dalla Nigeria di almeno otto ragazze, nonché la prostituzione di due sul territorio nazionale.
La donna si avvaleva della collaborazione di due complici che in Nigeria e in Libia gestivano le ragazze nei vari passaggi fino al nostro Paese: in Nigeria un addetto al reclutamento e alla sottoposizione dello ju-ju delle vittime, e un addetto alla cura dei viaggi, che si occupava di ricevere le somme necessarie dall’indagata per pagare gli “smugglers” (intermediari) per le prestazioni da essi erogate, come l’acquisto di cibo o la gestione dei rapporti con le persone giuste in grado di soddisfare meglio e più in fretta le richieste d’imbarco.
Tra l’altro, gli investigatori hanno fatto luce anche sulle numerose transazioni di denaro, provento della prostituzione, dall’Italia verso la Nigeria, che la donna, apparentemente priva di fonti di reddito, sarebbe riuscita a inviare, nel tempo, avvalendosi dei servizi bancari di altri connazionali o attraverso un sistema non tracciabile di informal banking.
I soldi trasferiti arrivavano ai complici e servivano per essere rinvestiti in nuovi viaggi e per acquisti immobiliari in Nigeria.