Mais addio in Italia dove la coltivazione del principale alimento per mucche, maiali, polli, tacchini, oche e anatre si è dimezzata (-50%) negli ultimi vent’anni a causa dei costi di produzione, dei cambiamenti climatici e delle importazioni dall’estero che espongono l’Italia alle conseguenze delle tensioni internazionali come la guerra in Ucraina. E’ quanto emerge dall’analisi della Coldiretti presentata in occasione della Fiera agricola e Zootecnica di Montichiari (Brescia) la più importante manifestazione italiana a livello internazionale dedicata all’allevamento dove è presente per il convegno della Coldiretti il ministro dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare Francesco Lollobrigida.
Il mais, base della dieta per gli allevamenti da latte e da carne che riforniscono di prodotti le dispense delle famiglie italiane, vive una crisi profonda – spiega Coldiretti – con le superfici scese da 1,06 milioni di ettari nel 2000 a poco più di 500.000 ettari nel 2023 e la produzione di granella passata nello stesso periodo da 10,2 milioni di tonnellate a 5,2 milioni di tonnellate. Con un patrimonio zootecnico di 6 milioni di bovini e bufale, di 8,5 milioni di maiali, altrettanti conigli e oltre 144 milioni di polli, tacchini, anatre e oche l’Italia ha un grado di autosufficienza, rispetto al fabbisogno nazionale di mais, di appena il 53%. Un deficit che – sottolinea Coldiretti – viene coperto dalle importazioni che nel 2022 hanno raggiunto la cifra record i 6,9 miliardi di chili con un aumento del +30% rispetto all’anno precedente, mentre nei primi sette mesi del 2023 siamo già a 3,8 miliardi di chili importati dall’estero. In più gli eventi geopolitici, come la guerra in Ucraina dalla quale nei primi sette mesi del 2023 abbiamo importato oltre 1,2 miliardi di chili di mais praticamente raddoppiati rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
Una tendenza che mette a rischio il futuro della Fattoria Italia che, con 55 miliardi di valore, vanta un patrimonio zootecnico di oltre 6 milioni di bovini e bufale, oltre 8 milioni di pecore e capre, più di 8,5 milioni di maiali, altrettanti conigli e oltre 144 milioni di polli nell’ambito di una straordinaria biodiversità delle stalle italiane con 64 razze bovine, 38 di capre e 50 di pecore, oltre a 19 di cavalli, 10 di maiali, altrettante di polli e 7 di asini. Senza dimenticare – evidenzia Coldiretti –produzioni di eccellenza come Prosciutto di Parma, San Daniele, Grana Padano, Parmigiano Reggiano vincolate a mangimi e foraggi del territorio.
Il presidente della Coldiretti Ettore Prandini ha sottolineato che gli interventi della Ue vanno in una direzione penalizzante per l’agricoltura, dalle direttive sulle emissioni alla stessa Politica Agricola Comune (Pac) pensata molti anni fa. “Ma oggi il mondo è cambiato e ci sono due guerre in corso”. Che senso nelle condizioni attuali – ha denunciato Prandini – lasciare le terre a riposo nell’Unione Europea nel nome della sostenibilità per poi importare da aree dal Sudamerica all’Asia con un’incidenza delle emissioni superiore a quella della Ue con il risultato di aumentare l’inquinamento?”. Va difesa con forza -ha precisato Prandini – la funzione ambientale della zootecnia poiché senza allevamenti scompare il mais che è fissatore di carbonio in grado di “ripulire” l’aria ma anche in grado alla produzione di energia rinnovabile nell’ambito dell’economia circolare. Sono quasi 20mila – ha continuato Prandini – i giovani under 40 che hanno scelto in Italia di lavorare a contatto con gli animali, tra stalle e greggi, portando innovazione, modernità e creatività in un settore determinante per l’economia, l’alimentazione e l’ambiente.
“Di fronte a questi scenari che penalizzano l’autoapprovvigionamento nazionale si deve agire su due fronti, da una parte l’innovazione con nuove tecnologie di miglioramento genetico per recuperare le produzioni in termini non solo di sostenibilità ma anche in termini quantitativi e dall’altra i contratti di filiera, fondamentali per aumentare il livello di aggregazione dell’offerta, caratterizzando e valorizzando qualitativamente il prodotto nazionale” ha concluso Prandini nel sottolineare che “difendere la filiera dell’allevamento italiano significa sostenere un sistema fatto di animali, ambiente e soprattutto persone impegnate a combattere lo spopolamento e il degrado spesso da intere generazioni, anche in aree difficili.