L’inflazione rallenta, ma resta comunque a livelli storicamente alti: il 2023 si chiude con una variazione dei prezzi del +5,7%, decisamente sotto i livelli del 2022, ma comunque il secondo valore più elevato degli ultimi trent’anni. E il rischio che i prezzi tornino a salire non è ancora del tutto archiviato. Così Confesercenti con una nota.
La frenata dell’inflazione dalla seconda metà del 2023 non dovrebbe, comunque, rappresentare un fatto episodico, soprattutto si osserva uno spegnimento delle tensioni dal lato dell’offerta: rallentano i prezzi delle materie prime, sta rientrando la situazione nelle catene di fornitura internazionale. Lo shock energetico del 2022, pur di dimensioni paragonabile a quello del 1973, non ha innescato rincorse dei prezzi né spirali prezzi-salari e ciò ha consentito di spegnere in tempi particolarmente rapidi la fiammata inflazionistica, che aveva raggiunto il suo apice proprio alla fine del 2022.
Non va tuttavia sottaciuto che quello appena trascorso è stato un anno di grande difficoltà per i consumatori. Nella componente di fondo, l’inflazione è aumentata infatti nel 2023 al 5,1%, dal 3,8% del 2022. Pesa l’eliminazione delle agevolazioni sulle tariffe dell’energia, che si è tradotta in una spinta aggiuntiva sui prezzi pari allo 0,5% nella media del 2023 e allo 0,3% nel solo mese di dicembre.
Con riferimento alle prospettive per il 2024, Confesercenti ritiene che l’inflazione possa gradualmente risalire nel corso dell’anno, passando dall’1% nel primo trimestre al 2,2% nel quarto trimestre. Valori che mostrano come il rischio di una risalita dei prezzi non sia al momento del tutto scongiurato, anche in considerazione dell’approfondirsi delle incertezze dello scenario internazionale e del possibile ripresentarsi di tensioni sui mercati energetici.