Il direttore dell’Ufficio Studi Confcommercio, Mariano Bella, ha presentato l’8 febbraio a Roma la nona edizione dell’indagine “Città e demografia d’impresa: come è cambiato il volto delle città, dai centri storici alle periferie, negli ultimi dieci anni”. I numeri sono importanti, come stiamo per vedere, ma “non va tutto male, cala il numero di negozi – ha sottolineato Bella – ma il commercio resta vitale e reattivo. Potevamo essere sterminati con tutto ciò che è successo dal 2012 ad oggi”.
C’era una volta il commercio. Non è l’inizio di una favola, ma la sintesi di un fenomeno che di anno in anno assume contorni sempre più rilevanti. Così, se l’anno scorso erano state quasi 100mila le attività di commercio al dettaglio e oltre 15mila le imprese di commercio ambulante a essere “sparite” nei dieci anni precedenti, stavolta – nel conteggio 2024 – il totale sale rispettivamente a più di 110mila e a oltre 24mila. È questo il quadro che emerge appunto dalla consueta analisi dell’Ufficio Studi Confcommercio sulla demografia d’impresa nelle città italiane, effettuata in collaborazione con il Centro Studi delle Camere di Commercio Guglielmo Tagliacarne.
Il trend si conferma e si accentua, dunque, e ciò riguarda anche la crescita delle attività di alloggio e ristorazione, aumentate di quasi 10mila unità tra il 2012 e il 2023, anche se in misura leggermente minore rispetto alla rilevazione precedente. Da notare la crescita esponenziale dei bed and breakfast: +168% nei centri storici del Sud e +87% in quelli del Centro-Nord. Nello stesso periodo risultano rilevanti la riduzione del numero di imprese italiane attive nel commercio, negli alberghi e nei pubblici esercizi (-8,4%, con bar in calo e ristoranti in crescita) e il conseguente aumento di quelle straniere (+30,1%). Ed è interessante notare che metà della nuova occupazione straniera nell’intera economia (+242mila occupati) viene proprio da questi settori. “Il commercio – ha commentato Bella – è la principale strada di integrazione per gli stranieri”.
Le città
Concentrando l’analisi sulle 120 città medio-grandi, la riduzione di attività commerciali è più accentuata nei centri storici rispetto alle periferie, un fenomeno che interessa tanto il Centro-Nord che il Mezzogiorno, fino allo scorso anno caratterizzato – quest’ultimo – da una maggiore vivacità commerciale.
Il tessuto commerciale nei centri storici
Nei centri storici sono sempre meno le attività tradizionali (carburanti -40,7%, libri e giocattoli -35,8%, mobili e ferramenta -33,9%, abbigliamento -25,5%) e sempre più quelle che offrono servizi e tecnologia (farmacie +12,4%, computer e telefonia +11,8%), oltre alle attività di alloggio (+42%) e ristorazione (+2,3%).
Desertificazione commerciale
Nelle nostre città è diventato sempre più evidente il fenomeno della desertificazione commerciale. Negli ultimi dieci anni sono scomparse dai 120 Comuni oggetto di analisi, oltre 30mila unità locali di commercio al dettaglio e ambulanti (-17%), tanto che la densità commerciale è passata da 12,9 a 10,9 negozi per mille abitanti, pari a un calo del 15,3%. Un fenomeno che non dipende se non in minima parte dal calo della popolazione, scesa solo del 2%.
Per evitare gli effetti più gravi di questo fenomeno il commercio di prossimità non può che continuare a puntare su efficienza e produttività, anche attraverso una maggiore innovazione e una ridefinizione dell’offerta. E resta fondamentale l’omnicanalità, ovvero l’utilizzo anche del canale online, le cui vendite sono passate da 17,9 miliardi nel 2019 a 35 miliardi nel 2023 (+95,5% i beni e +42,2% i servizi), con l’online che nel 2023 vale ormai il 17% degli acquisti di abbigliamento e il 12% del beauty. La crescita dell’e-commerce è la maggiore responsabile della riduzione del numero di negozi ma resta comunque un’opportunità per il commercio “fisico” tradizionale. “La sfida si acuisce per i nostri negozi – ha concluso direttore dell’Ufficio Studi – è ora di prendere sul serio il tema del valore sociale del commercio”.