MONZA – Difficile togliere il marchio e abbattere i pregiudizi. Il nostro passato ci accompagnerà sempre e quanto di buono e di cattivo abbiamo compiuto prima ci seguirà per il resto dei nostri giorni. Lo sa bene Annino Mele, 68 anni, ex bandito sardo che dopo aver scontato 31 anni di detenzione per duplice omicidio e sequestro di persona adesso è in libertà condizionale ospite presso la comunità di recupero “Il Gabbiano” di Colico, in provincia di Lecco.
Annino Mele ha raccontato la sua vita al pubblico monzese, in occasione dell’incontro organizzato giovedì scorso dal Circolo Sardegna di Monza alla Casa del Volontariato. Un incontro durante il quale l’ex bandito sardo si è aperto e ha ripercorso la sua vita: la gioventù in Sardegna, il suo essere latitante, i 31 anni di reclusione dei quali 28 senza mai uscire dal carcere. Nel frattempo il bisogno di evadere attraverso la scrittura che lo ha portato a scrivere e pubblicare sette libri nei quali affronta momenti e aspetti diversi della sua vita e del periodo dietro le sbarre.
“Il nostro marchio ce lo portiamo per tutta la vita – spiega -. Per tutti resto comunque un bandito. La legge prevede che io venga reinserito nel tessuto sociale, ma non è facile. In carcere ho scelto di non studiare. Anche se mi fossi laureato non avrei comunque potuto fare concorsi, non avrei potuto diventare avvocato, magistrato, insegnante o lavorare in banca. Ecco perché ho preferito imparare un mestiere”.
Una sorta di ritorno al passato, alla natura, alla sua Sardegna dove Annino aveva a lungo fatto il pastore. In carcere la scelta di avvicinarsi alla coltivazione della terra e oggi quella di insegnare ai ragazzi della comunità di Colico a coltivare.
Tanti i ricordi riaffiorati. “Sono cresciuto in un determinato contesto sociale – prosegue – Coinvolto in un ingranaggio dal quale era impossibile uscire. Certo tra i miei amici anche tanti pastori che non avevano una situazione come la mia, altri amici che hanno studiato e sono diventati ingegneri, vigili, politici”.
Annino ha pagato il suo debito con la giustizia ma in questi 31 anni di reclusione (una fetta importante della vita) ha perso molto: amici, affetti, contatti con quella terra alla quale è profondamente legato. “Ho nipoti e pronipoti che neppure conosco – aggiunge – Ma bisogna andare piano. Durante la mia reclusione per sette anni ho avuto un contatto epistolare con gli studenti di una scuola superiore di Meda. Non sono mai stato slegato dalla realtà, ma uscire dal carcere è stata un’esperienza molto intensa”.
Tanti i pensieri e i progetti che si fanno dietro alle sbarre, aspettando il momento di poter riassaporare il gusto della libertà. “Camminare tra le mura del carcere è diverso rispetto a camminare in mezzo a una strada – prosegue – La prima volta che sono uscito mi mancava l’equilibrio, mi sentivo con un bambino che doveva essere sorretto e imparare a fare i primi passi”.
Annino crede molto nei giovani, ma è anche molto preoccupato per loro. “In carcere ho conosciuto tanti ragazzi che sono passati per il tunnel della droga e dell’alcolismo – conclude – Il carcere non è il luogo adatto a loro: devono essere recuperati prima, nelle comunità”.
Barbara Apicella