MONZA -Quando i pazienti dopo anni (spesso decenni) di calvario incontrano il dottor Marcello Costa Angeli e trovano una soluzione definitiva al loro problema iniziano a vivere. Perché fino a quel momento non hanno fatto altro che nascondersi e isolarsi: è imbarazzante stringere la mano a una persona quando la mano gocciola di sudore, è imbarazzante sottoporsi a un colloquio di lavoro e improvvisamente diventare paonazzo ed entrare in tilt. Ma è ancora più mortificante sentirsi etichettare come paziente psichiatrico quando in realtà l’origine del disturbo non sta nella mente, bensì nel sistema nervoso simpatico.
Il dottor Marcello Costa Angeli ci ha aperto il cassetto dei ricordi, raccontandoci – naturalmente in anonimato – gli episodi che maggiormente lo hanno colpito nella sua carriera.
“Ho conosciuto e operato pazienti affetti dall’iperidrosi che svolgevano le più disparate professioni, dove le mani erano fondamentali – spiega – Fisioterapisti, medici, infermieri, commessi, autisti, impiegati a contatto con il pubblico. Persino un appartenente alle forze dell’ordine. Aveva le mani talmente bagnate che la pistola gli scivolava e si arrugginiva”.
Un medico diventato confidente di storie di vita di persone che una vita non ce l’avevano più. “Ricordo la vicenda di un pilota militare – racconta – A causa dell’iperidrosi la sua carriera ha rischiato di non decollare: avrebbe dovuto pilotare un nuovo areo, ma non era previsto l’utilizzo dei guanti. Se non fossi intervenuto avrebbe dovuto rinunciare al sogno di una vita”.
Ma è il primo intervento quello che non si scorda mai: eseguito su un paziente tedesco che per colpa dell’eccessiva sudorazione aveva chiuso la sua azienda in Germania, si era trasferito in Italia, intraprendendo un lavoro telematico da casa, senza contatti con le persone. “Dopo l’intervento era felicissimo – prosegue -. È tornato in Germania, ha aperto una nuova azienda. Ormai non era più un problema relazionarsi con gli altri, stringere la mano”.
Dai racconti del dottor Marcello Costa Angeli emerge un mondo di pazienti soli, che inventano mille stratagemmi per non rapportarsi con l’altro. La vergogna è troppa e li ingabbia in una vita di finzioni e di isolamento.
“Come il caso di una paziente affetta da eritrofobia – racconta – Faceva l’estetista e si era specializzata nella ricostruzione delle unghie. Una scelta non casuale: il volto era sempre chino e coperto da una lunga frangetta”.
Barbara Apicella