La recessione demografica che sta colpendo l’Italia, ormai dal 2015, appare “significativa” e si sta traducendo in “un vero e proprio calo numerico di cui si ha memoria nella storia d’Italia solo risalendo al lontano biennio 1917-1918, un’epoca segnata dalla Grande Guerra e dai successivi drammatici effetti dell’epidemia di ‘spagnola’”. Così il presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo, presentando il Rapporto annuale. Per trovare una situazione comparabile occorre tornare indietro di circa un secolo.
“Secondo i dati provvisori relativi al 2018 sono stati iscritti in anagrafe per nascita oltre 439 mila bambini, quasi 140 mila in meno rispetto al 2008”. Lo rileva l’Istat nel Rapporto annuale, parlando del “declino demografico” o “recessione demografica” che sta colpendo l’Italia. D’altra parte il 45% delle donne tra i 18 e i 49 anni, qui i dati si fermano al 2016, non ha ancora avuto figli. Ma coloro che dichiarano che l’avere figli non rientra nel proprio progetto di vita sono meno del 5%.
“Se fino al secolo scorso la componente demografica ha mostrato segnali di vitalità e ha spesso fornito un impulso alla crescita del Paese anche sul piano economico – ha aggiunto Blangiardo -, oggi potrebbe svolgere, al contrario, un effetto frenante. Viene da chiedersi se siamo (e saremo ancora) un popolo che guarda avanti e investe sul suo futuro o se invece dobbiamo perlopiù sentirci destinati a gestire il presente”. Insomma la questione demografica c’è e mette il Paese davanti a un bivio.
Sono i migranti ad attutire il calo demografico. “Il saldo migratorio con l’estero, positivo da oltre 40 anni, ha limitato gli effetti del calo demografico”: nel 2018 si stima un saldo positivo di oltre 190 mila unità. Lo rileva l’Istat nel Rapporto annuale. I cittadini stranieri residenti in Italia al gennaio 2019 sono 5,2 milioni (l’8,7% della popolazione). I minori di seconda generazione sono 1 milione e 316 mila, pari al 13% della popolazione minorenne; di questi, il 75% è nato in Italia (991 mila).
I giovani escono dalla famiglia sempre più tardi sperimentando percorsi di vita “meno lineari del passato”, che spostano in avanti le tappe di transizione allo stato adulto. Lo rileva l’Istat, spiegando che più della metà dei 20-34enni (5,5 milioni), celibi e nubili, vive con almeno un genitore. Ma c’è anche chi direttamente espatria. Il saldo migratorio con l’estero degli italiani è negativo dal 2008 e ha prodotto una perdita netta di circa 420 mila residenti. Circa la metà (208 mila) è costituita da 20-34enni. E quasi due su tre hanno un’istruzione medio-alta.
In compenso però gli italiani invecchiano più tardi. Il processo di invecchiamento è “caratterizzato da un’evoluzione positiva”: tra gli over65 “si osserva una maggiore diffusione di stili di vita e abitudini salutari”. Aumenta la pratica di sport, dall’8,6% del 2008 al 12,4% del 2018. Anche la partecipazione culturale (cinema o teatro) cresce. Se si dovesse confermare la tendenza, le generazioni del baby boom, che avranno beneficiato di migliori condizioni, “diventeranno ‘anziane’ sempre più tardi”. Intanto aumentano i ‘grandi anziani’: a inizio 2019 gli over85 sono circa 2,2 milioni. “L’Italia, insieme alla Francia, detiene il record europeo del numero di ultracentenari, quasi 15 mila”. In generale, fa sapere l’Istat, “nel 2018 si stima che gli uomini possano contare su una vita media di 80,8 anni e le donne di 85,2 anni. Nel tempo i vantaggi di sopravvivenza delle donne rispetto agli uomini si sono ridotti”. Secondo il Rapporto “a livello mondiale l’Italia contende al Giappone il record di invecchiamento: 165 persone di 65 anni e più ogni 100 giovani con meno di 15 anni per l’Italia e 210 per il Giappone, al primo gennaio 2017”.