La pandemia ha colpito duramente le imprese, in modo particolare quelle del commercio e della ristorazione, che hanno dovuto fare i conti con restrizioni e chiusure vedendo azzerati i loro fatturati e in moltissimi casi doversi arrendere con fallimenti o chiusure. In questo tipo di scenario, si assiste ad una situazione veramente paradossale: nonostante il blocco delle attività economiche, e dunque anche una riduzione dei rifiuti prodotti dalla stesse, il costo totale della relativa tassa, la Tari, non solo non è diminuito come sarebbe lecito aspettarsi ma anzi, secondo “Il Rapporto Rifiuti 2020 di Confcommercio” realizzato attraverso lo studio dell’Osservatorio Tasse Locali, ha raggiunto un livello record di 9,73 miliardi crescendo dell’80% negli ultimi dieci anni. L’analisi diventa ancora più “chiara” con il confronto tra le tariffe medie riscontrate nelle Regioni per le singole categorie produttive.
Secondo l’Arera, l’autorità di regolazione e controllo in materia di rifiuti urbani, nel corso del 2020 sarebbe dovuta diventare operativa l’adozione del nuovo Metodo Tariffario Rifiuti (MTR) con l’obiettivo di evitare voci di costo improprie, inefficienze e una maggiore aderenza tra le tariffe pagate dalle utenze e la reale produzione dei rifiuti nel rispetto del principio europeo “chi inquina paga”. Il punto cardine di questo principio è che i costi della gestione dei rifiuti, compresi quelli per la necessaria infrastruttura e il relativo funzionamento, sono sostenuti dal produttore iniziale o dai detentori del momento o dai detentori precedenti dei rifiuti.
Ma nei dati dell’Osservatorio si vede come su 110 capoluoghi di provincia e Città Metropolitane, quasi l’80% dei Comuni non ha ancora definito questo nuovo metodo e nel 21% dei Comuni che, invece, lo hanno recepito, in più della metà dei casi (il 58%) il costo della Tari risulta, paradossalmente, in aumento mediamente del 3,8%. I Comuni “virtuosi che hanno ridotto le tariffe nei confronti delle utenze non domestiche, hanno utilizzato modalità diverse: c’è chi è intervenuto solo sulla parte variabile, mentre alcuni Comuni si sono spinti a ridurre la Tari complessiva (fissa e variabile), altri hanno invece previsto un dilazionamento dei pagamenti e infine alcune Amministrazioni comunali hanno ridotto la Tari solo sull’ampliamento dell’occupazione di suolo pubblico.
Parlando di paradossi, quello più incomprensibile, o forse no, è che a fronte di costi sempre molto elevati, non corrisponde mediamente un livello di servizio migliore. Sono, infatti, ben 9 le Regioni che si posizionano ancora sotto il livello 6 di sufficienza: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Liguria, Molise, Puglia e Toscana. Le regioni più “virtuose” risultano essere l’Emilia Romagna (7,38), il Piemonte (7,33), il Veneto (7,17) e la Lombardia (7).
Secondo Pierpaolo Masciocchi, responsabile Ambiente e Utilities di Confcommercio, “sarebbe necessaria una riscrittura complessiva della tassa, che deve essere direttamente commisurata alla quantità e alla qualità dei rifiuti prodotti. E non tenere in considerazione solo la superficie dell’attività in questione”. Un altro aspetto che secondo Masciocchi rende la Tari una tassa troppo complicata è che “dipende troppo dai piani finanziari del Comune di riferimento: molto spesso le amministrazioni comunali sforano i propri budget e per rientra e applicano aumenti alle tariffe locali compresa quella dei rifiuti”. Per quel che riguarda la parte variabile dei costi, Masciocchi precisa che c’è una legge (116/2020) che però deve essere recepita dai Comuni: se le aziende utilizzano gestori privati per lo smaltimento dei rifiuti dovrebbero pagare solo quel servizio e quindi bisognerebbe detassare la quota corrispettiva della Tari”. “Confcommercio – sottolinea ancora Masciocchi – auspica che su questi aspetti il Governo possa intraprendere un dialogo costruttivo con gli operatori e le associazioni imprenditoriali”.
“Occorre – aggiunge – risolvere il problema della mancanza cronica di una dotazione impiantistica che fa lievitare i costi dei piani finanziari dei Comuni e, quindi, delle tariffe per le utenze. La carenza di impianti costringe infatti ad inviare una parte considerevole di rifiuti nelle discariche o ad esportarli all’estero per il trattamento e l’incenerimento”.