LISSONE – “Come sindacalista, ma prima di tutto come donna e cittadina, non posso che dare tutto il sostegno possibile a Cristina. E’ inaccettabile che la maternità venga considerata assenteismo, che nel 2021 in un paese a crescita zero una donna che decide di essere madre venga punita, quando andrebbe considerata un valore aggiunto per la società. È indegno che tutto ciò venga messo in atto da chi tutti i giorni si vanta di essere a capo di un’azienda lanciata nel mondo come OEB Brugola”. Arrabbiata, indignata, grintosa Eliana Dell’Acqua, della Fim Cisl, mentre esprime tutto il suo disappunto per una vicenda lavorativa tutta brianzola maturata all’interno della nota azienda lissonese.
“In un paese a crescita zero, un imprenditore che rilascia interviste dove dichiara di voler fare qualcosa per il territorio e voler aiutare chi vive in stato di povertà, licenzia una madre lavoratrice unica affidataria di un minore, additandola come assenteista – dichiara la sindacalista -. Questo è accaduto a Cristina Cirincio, madre lavoratrice unica affidataria di un minore”.
La ricostruzione della sindacalista è molto semplice: “Il 2 agosto 2021 Brugola ha inviato a lei e ad altri 3 lavoratori (il numero massimo di lavoratori che possono essere licenziati senza doversi confrontare con il sindacato) la lettera di licenziamento per preteso giustificato motivo oggettivo. Cristina, al termine del congedo di maternità, non è più stata fatta rientrare in azienda: da fine maggio 2020 è stata sospesa in cassa integrazione covid e senza alcuna motivazione tecnica, organizzativa e/o produttiva, non ha mai ruotato con i colleghi del reparto. Il comportamento attuato nei suoi confronti le ha cagionato non pochi problemi finanziari: l’indennità di cassa integrazione, le fa mancare circa 400 € al mese, di uno stipendio e non faraonico e con un bimbo da mantenere. Altri lavoratori nella sua condizione accettano la proposta aziendale d’uscita a fronte del riconoscimento di un incentivo. Cristina, non accetta ha bisogno e vuole lavorare. Nell’ultimo colloquio con la proprietà, dalla stessa persona che dichiara nelle interviste di voler aiutare le persone in stato di bisogno, viene accusata di essere “un’assenteista” e di aver l’11 % di assenze: in questa percentuale viene considerata anche la maternità di Cristina”.
“Fino alla maternità – spiega Dell’Acqua -, Cristina era considerata dall’azienda un’ottima lavoratrice, tanto da farle la proposta di diventare responsabile del reparto. È stata licenziata dopo 14 mesi di cassa integrazione a zero ore, con la motivazione della chiusura del reparto presso il quale era addetta. A oggi il reparto è ancora in parte aperto. Peraltro, è stato operativo per tutti i 14 mesi in cui Cristina è stata sospesa in cassa ed avrebbe potuto ruotare con altri colleghi del reparto e avere una minore riduzione del suo reddito. Anche perché altri lavoratori del suo reparto sono stati ricollocati in altre aree dell’azienda. Solo per Cristina non ci sono posizioni lavorative alternative nonostante Cristina – a differenza della maggioranza dei colleghi del suo reparto – non abbia limitazioni alle sue capacità lavorative. Come Fim Cisl Monza Brianza Lecco insieme al nostro Ufficio Tecnico Legale, stiamo assistendo Cristina nell’impugnazione del suo licenziamento, che viene spacciato per licenziamento economico, quando l’unica colpa di Cristina è quella di essere giovane, magari di voler provare ancora ad avere un figlio, visto il non felice esito della maternità incriminata”.