Un lutto in famiglia. Un fratello – il povero Abraham – morto a soli cinque anni per problemi cardiaci. Sarà un episodio chiave per la sua formazione e, alla fine, per l’umanità: proprio alla luce di questo fatto Christiaan Barnard deciderà di avviarsi verso la professione medica. Morto il 2 settembre 2001, è stato il primo al mondo a praticare il trapianto di cuore.
Barnard nasce nel 1922 in una normalissima famiglia. Papà missionario della chiesa protestante olandese, la mamma casalinga per poter seguire a tempo pieno i cinque figli. Dopo la laurea Barnard inizia la sua carriera da tirocinante in ospedale di Città del Capo, prima di dedicarsi alla professione di medico generico. Non è una scelta definitiva: contemporaneamente si dedica al dottorato di ricerca finché, nel 1953, una borsa di studio gli permette di andare negli Stati Uniti a Minneapolis. Un incontro che gli cambierà la vita: affianca infatti il professor Owen Wangesteen che lo introduce ai segreti della chirurgia cardiotoracica.
Lui apprende come un automa. Ricorda bene la brutta fine fatta dal fratello molti anni prima. Il professore spiega, lui ripete sugli animali ciò che vede fare in sala operatoria. Pochi anni dopo, nel 1958, arrivano il master in Scienza della chirurgia e il Ph.D.
Ormai è ora di tornare nel suo Paese, il Sudafrica, dal punto di partenza. Quella struttura sanitaria, il Groote Schuur Hospital, dove aveva mosso i primi passi come tirocinante. Ormai è un medico affermato e rispettato: con lui nasce la prima unità coronarica dell’ospedale. Il bello di Barnard, però, è che non si sente mai arrivato. Potrebbe fare ciò che vuole in quell’ospedale, invece lui decide di andare a Mosca dal professor Vladimir Demikhov, un numero uno nei trapianti umani. L’idea di Barnard, ciò che è ritenuto ancora fantascienza, ovvero il trapianto di cuore, inizia a prendere corpo.
Tutto procede però per gradi. Dapprima è il precursore delle operazioni a cuore aperto nel continente africano. Poi si cimenta con successo nel trapianto del rene, seguendo ciò che negli Stati Uniti è già praticato da qualche anno. Nel frattempo resta il chiodo fisso del trapianto di cuore. Si esercita con i cani, ha la caparbietà di andare oltre l’insuccesso: 51 moriranno tra le sue mani. Il cinquantaduesimo, però, sopravvive. Va oltre: allarga la sperimentazione sulle scimmie, affinando la tecnica e ottenendo risultati sempre più brillanti.
Quando è ormai pronto per provare sull’uomo, manca la materia prima: ovvero il paziente e il donatore di cuore compatibili tra loro. L’occasione sarà offerta da un incidente automobilistico con conseguenze mortali, avvenuto il 3 dicembre 1967 a Città del Capo. La mamma muore, la figlia è in condizoni disperate. Il cuore della ragazza sarà quello che verrà trapiantato nel corpo di Louis Washkansky, un lituano ricoverato in ospedale per problemi cardiaci.
Sono 9 ore di operazione e di ansia. L’operazione, però, grazie alla conscenza ormai acquisita da Barnard, riesce perfettamente. In realtà Washkansy morirà diciotto giorni più tardi, per una polmonite. La scienza, però, con Barnard ha segnato un punto di non ritorno.
Qualche settimana più tardi ecco una seconda operazione. Stavolta la persona finita sotto ai ferri sopravviverà 19 mesi. Andrà sempre meglio. In carriera arriverà a una cinquantina di trapianti di cuore. Dirà basta nel 1983 quando l’artrite alle mani gli impedisce di poter maneggiare gli attrezzi del mestiere e di poter intervenire in una operazione così delicata.
Ha aperto però una nuova frontiera. Ha reso realtà ciò che era considerato fantascienza. Di più: ha consentito a tante persone di continuare a vivere.
Gualfrido Galimberti