E’ il cantante italiano che ha venduto più dischi nella storia. Con quella stazza inconfondibile ma, soprattutto, con quella voce spettacolare e quella dizione perfetta anche nei passaggi più difficili. Luciano Pavarotti, “big Luciano”, ci manca ormai dal 6 settembre 2007.
Se oggi fate il suo nome in qualsiasi Paese del mondo, tutti vi guardano ammirati e lo ricordano con piacere. Quasi nessuno, invece, può ricordare l’inizio della sua carriera professionale. Non come cantante, visto che quella per lui doveva essere solo una passione, bensì come insegnante di educazione fisica. In famiglia è il papà il più appassionato di canto, sebbene per sbarcare il lunario sia costretto a fare il panettiere. Sarà lui però a stimolare Luciano, refrattario all’idea del Conservatorio, ad affidarsi comunque a due maestri per imparare a cantare bene.
In realtà i due insegnanti, Arrigo Pola ed Ettore Campogalliani, si accorgono subito di avere tra le mani un talento incredibile. Se ne accorge anche il pubblico del Festival di Llangollen, in Galles, dove il giovane Pavarotti va a cantare con suo papà e la corale “Rossini”. Un primo premio che non lascia spazio a dubbi. E’ però il 1961 l’anno che convince Pavarotti delle sue possibilità canore: premi e riconoscimenti personali che gli piombano addosso a ripetizione. Con Rodolfo, ne “La Bohème”, ovazioni per lui al Teatro Municipale di Reggio Emilia e in tutta la tournée che verrà portata in giro per l’Italia. Lì il nostro Paese si accorge che esiste un tenore di nome Luciano Pavarotti.
Se ne accorge anche l’Europa due anni più tardi, nel 1963, quando ancora il suo caro Rodolfo de “La Bohème” fa alzare in piedi tutto il pubblico delle Wiener Staatsoper a Vienna. Stessa sorte in Inghilterra. Ormai è un celebrità: la case discografiche se lo contendono per l’incisione di dischi.
La sua voce è incantevole, anche chi ha sentito in carriera centinaia di tenori ne rimane affascinato. E’ il caso di Herbert Von Karajan, mostro sacro della musica classica e della direzione d’orchestra, che lo vuole nel 1965 al Teatro alla Scala di Milano per una “Bohème” con Mirella Freni. Il risultato potete immaginarlo: non a caso lo rivorranno ancora l’anno successivo nell’esigente tempio meneghino della lirica. Lo vorrà con sé anche Cladio Abbado. Tra un successo e l’altro, nel 1968 e nel 1969 sbalordisce il mondo della lirica nella parte di Tonio ne “La figlia del reggimento” di Gaetano Donizetti: primo al mondo a eseguire nove do di petto, esecuzione ritenuta fino a quel momento praticamente impossibile. Rimarranno stupefatti anche gli statunitensi, quando nel 1972 alla Metropolitan Opera House di New York, avranno la possibilità di sentirli anche loro. Dire che la serata si conclude con una standing ovation sarebbe riduttivo e quasi offensivo per Pavarotti: a suon di applausi viene richiamato in scena per ben 17 volte. Anche questo è un record che nessuno riuscirà a superare. Sempre per rimanere in tema di record, non si può non parlare del concerto londinese a Hyde Park nel 1991. Per lui, per udire quella voce, accorrono in 330 mila: quattro volte il pienone dello stadio di San Siro.
Pavarotti, però, è stato anche il cantante che ha “sdoganato” il ruolo del tenore. Nel 1992 collabora con il musicista Zucchero per il brano “Miserere”, per la prima volta in assoluto lavora con un cantante non lirico. Un successo tale che porterà il tenore a creare il marchio “Pavarotti & Friends” e ad esibirsi con cantanti di varie nazionalità. Evento annuale a cui vuole dare un significato solidale: gli incassi vengono utilizzati per aiutare le zone più povere del mondo, soprattutto con progetti destinati ai bambini.
Ormai è un personaggio di caratura internazionale, che si è fatto ben volere e apprezzare da tutti. Il suo nome muove migliaia di persone e genera un entusiasmo mai visto in precedenza attorno al mondo della lirica. Chiedetelo ai newyorkesi che, nel 2004, quando lui decide di dare l’addio all’opera, appena entra in scena per il primo atto della Tosca, si trova di fronte 4 mila spettatori che si alzano in piedi per applaudirlo per più di mezzo minuto.
Fare l’elenco di tutti i riconoscimenti ottenuti in carriera è pressoché impossibile. Ci vorrebbe un tomo di chissà quante pagine. Ci piace ricordare quel triste 6 settembre con l’immagine del Duomo di Modena gremito per l’ultimo saluto. Artisti di fama internazionale che vengono a stringersi per l’ultima volta attorno a lui intonando arie celebri e suonando i loro strumenti. E all’uscita, su in alto nel cielo, le Frecce Tricolori. Per ringraziarlo a nome di tutto il Paese, disegnando quella bandiera che lui, con la sua voce, ha fatto conoscere e apprezzare in tutto il mondo.
Gualfrido Galimberti