Il cognome in questi giorni fa molto discutere a causa della figlia. Ma per un giorno ci concentriamo sul papà. Perché Dario Argento, il maestro del brivido, è nato il 7 settembre 1940 e a pieno titolo entra nel nostro Almanacco come uno dei grandi nomi del cinema italiano.
Il mondo del cinema è quello che conosce meglio. Lo ha sempre conosciuto. A casa Argento, quando ci si sedeva a tavola, oltre a riempirsi la pancia si masticava cinema. Perché suo papà Salvatore era un produttore. La mamma, invece, una fotografa di moda. Proviamo a fare due più due: conosce il cinema a menadito, sa benissimo cosa significhino le inquadrature. Insomma, facile pronosticargli un futuro da regista.
Certamente non sempre funziona così. Sono numerosissimi i casi dei figli che non seguono le orme dei genitori. Lui, invece, fin da subito è affascinato. Soprattutto dal mestiere della mamma, da quei ritratti, dai dettagli, dal trucco. Dopo il liceo, e dopo aver vissuto per qualche anno all’estero, intraprende anche lui la carriera nel mondo del cinema. No, non come regista benché possa avere la strada spianata. Sceglie di fare il critico.
Non sarà tempo sprecato. In questa nuova veste ha modo di appagare tutta la sua curiosità e di approfondire la conoscenza di tutti i generi. La sua inclinazione, fin da subito, sarà tuttavia fin da subito per il noir, l’horror, la fantascienza. Le commedie, insomma, per lui sono noia o poco più.
Passo dopo passo, inizia a cimentarsi anche nelle vesti di sceneggiatore, collaborando con altri alla stesura di alcuni copioni. Poi, nel 1969, con l’aiuto del papà ecco la prima esperienza da regista. Il film è “L’uccello dalle piume di cristallo”. E’ una rielaborazione del romanzo “La statua che urla” di Fredric Brown. E si rivela subito un successo. Piace anche alla critica, anche per soluzioni innovative da regista, non solo per il profilo psicologico dei personaggi e per il montaggio.
Andato benissimo il primo lavoro due anni più tardi arriva il secondo, ovvero “Il gatto a nove code”, subito seguito nel giro di pochi mesi da “Quattro mosche di velluto grigio”. Che sia un innovatore ormai è chiaro a tutti e che abbia decisamente uno stile personale è fuor di dubbio. Per tutti è l’Hitchcock italiano per la suspense che sa creare e per i prodotti di ottima fattura.
Deve suo malgrado dirigere un film storico nel 1973 perché si ritira il regista della pellicola che lui sta producendo, ma nel 1975 ecco che si rilancia alla grande. E’ l’anno di “Profondo rosso”, un titolo che ancora oggi dice molto e un film che molto probabilmente abbiamo visto tutti. Dire che è un trionfo non basta. Di più. E nel 1977 ecco l’altro grande successo, stavolta un po’ più horror e meno thriller, con Suspiria. L’horror e il thriller sono i due generi che gli piacciono di più e in cui si trova a suo agio. Li alternerà nel corso della sua carriera dirigendo Inferno, poi Tenebre, Phenomena e Opera.
Con gli anni 2000 ecco la trilogia thriller di “Non ho sonno”, “Il cartaio”, “La terza madre”. Poi tanti progetti nuovi, sempre innovativi come un film in 3D su Dracula nel 2010. Stroncato però dalla critica, non sarà apprezzato nemmeno dal pubblico: soltanto 275 mila euro di incassi.
Al di là di quel fiasco, tuttavia, in tutti una convinzione: non ha aperto una nuova strada al cinema, perché in certi generi è probabilmente unico e inimitabile. Geniale, pronto a rimettersi sempre in gioco e a sperimentare… e a tenere gli spettatori con il fiato sospeso.
G.Gal.