PADOVA – Alle prime ore di ieri, mercoledì 9 febbraio, a conclusione di un’articolata indagine coordinata dalla locale Procura della Repubblica, i Finanzieri del Comando Provinciale di Padova hanno dato esecuzione a un’ordinanza che disponeva 6 misure cautelari personali e a un decreto di sequestro preventivo di beni, per un valore di 3,5 milioni di euro circa, emesso dal giudice per le indagini preliminari nei confronti di soggetti ritenuti – secondo l’impostazione accusatoria – parte di un’associazione per delinquere, radicata a Padova, dedita alla commissione di una truffa di rilevanza nazionale perpetrata tramite l’indebito conseguimento di finanziamenti garantiti dallo Stato, per un importo pari a 4,3 milioni di euro, resi più agevolmente accessibili dalle misure urgenti adottate per fronteggiare l’emergenza Covid-19.
Contestualmente, sono state eseguite diverse perquisizioni in luoghi riconducibili agli indagati nelle province di Padova, Ferrara e Roma.
Dai primi mesi del 2020 i militari del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Padova hanno avviato le indagini sul conto di due soggetti, finalizzate ad accertare la commissione di truffe ai danni dello Stato.
All’esito delle attività investigative, allo stato nella fase delle indagini preliminari, sono state complessivamente segnalate all’Autorità Giudiziaria 20 persone fisiche, di cui 2 sottoposte agli arresti domiciliari, in quanto ritenuti i principali artefici del meccanismo truffaldino, 2 all’obbligo di dimora e 2 all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, nonché 23 persone giuridiche per illeciti amministrativi dipendenti da reato.
Il modus operandi escogitato dagli indagati prevedeva l’acquisizione di società non più operative, che venivano formalmente intestate a prestanome, spesso soggetti disoccupati gravati da precedenti di polizia, attraverso le quali venivano avanzate richieste di finanziamento di ingente valore a primari istituti di credito. Per accedere ai finanziamenti gli indagati, tra i quali figurano anche professionisti, predisponevano falsa documentazione contabile e non (bilanci, fatture, dichiarazioni, business plan), utilizzavano sedi legali o unità locali fittizie, facevano apparire operative le aziende coinvolte simulando false condizioni economico-finanziarie, con contestuale richiesta della garanzia dello Stato, concessa da apposito Fondo a sostegno delle piccole e medie imprese (istituito con il c.d. “Collegato alla finanziaria 1997”), amministrato da Mediocredito Centrale S.p.a. per conto del Ministero dello Sviluppo Economico e finanziato anche con l’apporto di fondi europei.
La finalità del Fondo di Garanzia è quella di favorire l’accesso alle fonti finanziarie delle piccole e medie imprese per investire nell’attività aziendale, mediante la concessione di una garanzia pubblica che si affianca e spesso si sostituisce alle garanzie reali fornite in proprio dalle imprese.
Con l’entrata in vigore del “Decreto liquidità”, provvedimento normativo emanato durante l’emergenza sanitaria, oltre ad aumentare la platea di beneficiari, sono state semplificate le procedure per fruire dello strumento giuridico e sono aumentate le garanzie fornite dallo Stato.
Gli indagati hanno colto questa opportunità, richiedendo e ottenendo ulteriori finanziamenti per oltre 500 mila euro.
Sulla base del quadro indiziario delineatosi, si è ritenuto che la liquidità finanziaria ottenuta con lo stratagemma attuato fosse stata non solo illecitamente acquisita sulla scorta di falsi requisiti di ammissibilità, appositamente creati, ma anche in concreto utilizzata per finalità diverse da quelle pubblicistiche per cui era stata concessa.
Al fine di ostacolare le attività investigative e non destare sospetti, gli indagati spostavano continuamente le sedi legali delle società o aprivano nuove unità locali in diverse Regioni del centro e del nord: Veneto, Lombardia, Lazio e Toscana.
Il giudice per le indagini preliminari, condividendo l’impianto accusatorio della Procura, ha ritenuto sussistenti i presupposti della truffa aggravata evidenziando che “gli indagati non si sono limitati a produrre documentazione contenente dati falsi, ma hanno posto in essere (…) veri e propri artifici e raggiri: creano false unità locali delle società richiedenti i finanziamenti; portano o mandano in banca soggetti compiacenti disposti a rivestire il ruolo di amministratori di diritto (…) effettuano movimentazioni sui conti correnti sociali allo scopo di far apparire operative le società, tutti elementi significativi del fatto che non si limitano ad autocertificare l’esistenza di requisiti insussistenti ma realizzano una vera e propria induzione in errore dei delegati ai controlli nella fase in cui deve essere valutata l’ammissibilità delle richieste di finanziamento e della relativa garanzia”.
Il denaro così indebitamente ottenuto veniva utilizzato per effettuare vorticose operazioni di giroconto tra le società-veicolo delle truffe, al fine di dare, come anticipato, una parvenza di operatività ai conti correnti movimentati, e successivamente veniva inviato su conti esteri accesi in Albania, Romania, Regno Unito, Repubblica Ceca e Ungheria, sempre riconducibili agli stessi indagati. Solo in un secondo momento gli associati facevano rientrare in Italia i proventi illecitamente accumulati.
L’operazione testimonia il costante impegno dell’autorità giudiziaria e della Guardia di Finanza, in ragione delle sue peculiari prerogative di forza di polizia economico – finanziaria, nel garantire la corretta allocazione delle risorse pubbliche stanziate per le imprese in difficoltà e nel perseguire comportamenti illeciti particolarmente dannosi per l’economia nazionale, a tutela del bilancio dello Stato e dell’Unione Europea.