Stop al pesce fresco a tavola per l’avvio del fermo pesca che porta al blocco delle attività della flotta italiana lungo l’Adriatico. A darne notizia è Coldiretti Impresapesca in occasione dell’avvio del provvedimento che dal 30 luglio blocca le attività dei pescherecci dal Friuli Venezia Giulia al Veneto, dall’Emilia Romagna fino a parte delle Marche e della Puglia. in una situazione in cui i prezzi di vendita al dettaglio per il pesce fresco e refrigerato sono aumentati del 10,4% a luglio per effetto del clima e dell’aumento insostenibile dei costi.
Lo stop inizialmente varrà infatti – spiega la Coldiretti – da Trieste ad Ancona e da Bari a Manfredonia (per entrambi si tornerà in mare l’11 settembre), mentre lungo l’Adriatico nel tratto centrale da San Benedetto e Termoli le attività si fermeranno il 16 agosto (fino al 21 settembre).
Per quanto riguarda il Tirreno il blocco scatterà da Brindisi a Napoli fino a Gaeta dal 5 settembre al 4 ottobre. Il 3 ottobre partirà, invece, il fermo da Livorno a Imperia (fino al 1° novembre) mentre per Sicilia e Sardegna l’interruzione delle attività è fissata su indicazione delle Regioni mentre da Roma a Civitavecchia è stato effettuato dal 13 giugno al 12 luglio. Come lo scorso anno – spiega Coldiretti Impresapesca – in aggiunta ai periodi di fermo fissati i pescherecci dovranno effettuare ulteriori giorni di blocco che vanno da 7 a 17 giorni a seconda della zona di pesca e del tipo di risorsa pescata.
Nonostante l’interruzione dell’attività sulle tavole delle regioni interessate – precisa Coldiretti Impresapesca – sarà comunque possibile trovare prodotto italiano, dal pesce azzurro come le alici e la sarde, al pesce spada, dalle vongole e cozze provenienti dalla barche della piccola pesca e dall’acquacoltura, che assicura anche orate e spigole. Il consiglio è dunque quello di verificare bene le informazioni in etichetta sui banchi di pescherie e supermercati, ma per assicurare reale trasparenza occorrerebbe arrivare all’etichettatura obbligatoria dell’origine anche al ristorante.
Il fermo cade quest’anno in un momento difficile – denuncia Coldiretti Impresapesca – poiché il blocco dell’attività va a sommarsi al caro carburanti con il prezzo medio del gasolio per la pesca che è praticamente raddoppiato rispetto allo scorso anno costringendo i pescherecci italiani a navigare in perdita o a tagliare le uscite e favorendo le importazioni di pesce straniero, considerato che fino ad oltre la metà dei costi che le aziende ittiche devono sostenere è rappresentata proprio dal carburante. Non a caso gli arrivi di prodotti ittici dall’estero sono aumentati del 29% in valore nei primi quatro mesi del 2022, secondo un’analisi Coldiretti su dati Istat.
Ma a pesare sono anche – denuncia Coldiretti Impresapesca – le scelte dell’Unione Europea che hanno portato a una riduzione dell’attività di pesca per un corposo segmento produttivo della flotta peschereccia nazionale a poco più di 120 giorni, pari ad un terzo delle giornate annue, portandola di fatto sotto la soglia della sostenibilità economica.
Senza dimenticare gli effetti della siccità con la mancanza di acqua per garantire il ricambio idrico e l’aumento della salinità lungo la costa Adriatica che ha causato una perdita del 20% della produzione di vongole e cozze negli impianti di acquacoltura del delta del Po.
Resta poi il problema che anche quest’anno l’assetto del fermo pesca 2022 non risponde ancora alle esigenze delle aziende e continua a non rispondere alle esigenze della sostenibilità delle principali specie target della pesca nazionale, tanto che lo stato delle risorse nei 35 anni di fermo pesca, per alcune specie, è progressivamente peggiorato, mentre la Flotta Italia si è ridotta ad appena 12mila unità. L’obiettivo deve essere quello di tutelare, oltre alle risorse ittiche, anche la sostenibilità economica del settore – ricorda Coldiretti Impresapesca -, che rappresenta in molte zone un volano importante anche dal punto di vista turistico.