La ristorazione collettiva non può sopravvivere senza un sostegno concreto. È questo l’appello che FIPE, Federazione Italiana Pubblici Esercizi, e Angem, Associazione Nazionale della Ristorazione Collettiva e Servizi, rivolgono nuovamente alle istituzioni, dopo mesi di interlocuzione che non hanno portato a nessun risultato.
Non possono essere più ignorate le condizioni di estrema criticità in cui versano le imprese della ristorazione collettiva, lasciate da sole ad affrontare le conseguenze dell’inflazione. Una congiuntura economica che ha portato a un aumento dei costi di produzione del 55% senza possibilità di intervento, dato il regime di prezzi fissi che regola il 75% degli appalti, risalenti al periodo pre-pandemico. E che porta oggi le imprese del settore a scendere in piazza il prossimo 23 marzo.
Oggi queste aziende, che non si sono mai fermate neppure durante la pandemia, non riescono più a sostenersi da sole e la prolungata immobilità della politica mette a rischio migliaia di posti di lavoro, di cui il 95% a tempo indeterminato.
“La nostra richiesta è tanto semplice quanto chiara: introdurre la revisione dei prezzi su tutti i contratti in essere in base agli indici ISTAT di settore, abbandonando il regime di prezzi fissi. Senza un intervento di questa portata, il rischio che le mense si ritrovino senza pasti è sempre più concreto”, ha dichiarato Carlo Scarsciotti, Presidente di ANGEM. “Comprendiamo e sosteniamo le motivazioni della mobilitazione straordinaria del 23 marzo perché c’è bisogno di un segnale forte: chiediamo alla politica lo stesso senso di responsabilità che hanno dimostrato le aziende affrontando, da sole e a proprie spese, situazioni inedite senza mai interrompere i servizi della refezione nelle scuole, negli ospedali e nelle case di riposo”.