Lo scorso anno il mercato italiano ha pagato all’industria automobilistica 38 miliardi di euro, al netto di sconti e incentivi, che sono stati versati dal contribuente, per ricevere in cambio 1,3 milioni di auto. La stessa cifra del 2008, quando però riuscì a immatricolare quasi 2,2 milioni di auto, ai tempi ancora un prodotto di massa. È quanto emerge dall’analisi Mercato in Valore, prodotta dal Centro Studi Fleet&Mobility per Mapfre e rilanciata dalla Cgia Mestre.
“Approfondendo l’analisi sul prezzo medio – spiega la Cgia – si passa dai 18mila euro del 2013 ai 21mila del 2019, incremento annuo del 2,5%, per poi schizzare nei 3 anni successivi a oltre 28mila, pari a un incremento annuo del 10%. Se gli aumenti pre-Covid erano spiegabili soprattutto con l’affermazione dei suv, quelli recenti hanno più di una motivazione. La principale è senza dubbio lo shortage di produzione, che ha messo i costruttori nella gradevole situazione di poter alzare i listini e tagliare gli sconti, mentre chiedevano e ottenevano comunque 1,3 miliardi di incentivi tra 2021 e 2022 per calmierare i prezzi”.
“Inoltre – rileva la Cgia -, potendo scegliere quali macchine produrre, si sono concentrati su quelle di valore medio-alto dove i margini sono migliori. Infine, non fornire le auto al rent-a-car, i cui sconti sono molto alti, pure ha aiutato. In buona sostanza l’industria sta vendendo meno ma guadagna di più. D’altronde gli investimenti sull’elettrificazione sono ingentissimi e dal ritorno piuttosto dubbio. Questa situazione, tuttavia, porta a creare un vuoto di offerta per chi desidera un prodotto più economico, com’era abituato fino a pochi anni fa, e che oggi ha due alternative”.
La prima alternativa è quella di andare nel mercato dell’usato: nel 2010 il 77% delle macchine acquistate usate avevano meno di dieci anni, nel 2022 siamo scesi al 45%.
La seconda alternativa, è di rivolgersi ai costruttori cinesi per le auto nuove. Se le auto economiche le importiamo naturalmente a fabbricarle non saremo noi ma gli asiatici. Un’analisi di Bain, evidenzia come dal 2015 al 2022 la produzione auto cinese sia salita dal 27 al 33% del totale mondiale, mentre quella europea scendeva dal 24 al 19%, perdendo 5,3 milioni di pezzi e relativi addetti.
“Sul fronte occupazionale – conclude la Cgia – quindi non ci siamo proprio. Se l’industria persegue i profitti, e la Cina punta a esportare e conquistare i mercati, non sono per nulla chiare le strategie del legislatore per contrastare l’impatto devastante sul lavoro causato dalla forte spinta all’elettrificazione voluta dallo stesso legislatore”.