MONZA – La Struttura di Elettrofisiologia interventistica diretta dal dottor Giovanni Rovaris insieme alla sua équipe, supportata dalla dottoressa Maddalena Lettino, direttore della Cardiologia Clinica e Capo Dipartimento Cardio Toraco Vascolare, è stata scelta, in funzione della sua importanza nell’ambito elettrofisiologico, per essere uno dei primi centri in Italia in cui iniziare ad utilizzare una nuova tecnologia. Si tratta del sistema di stimolazione cardiaca permanente modulabile (mono e bicamerale), a fissazione attiva (a vite) e leadless (in assenza di elettrocateteri) cioè senza comunicazione tra interno ed esterno del cuore, denominata Aveir.
Fin dal 1950 la stimolazione cardiaca permanente (pace-maker, PM), consente di curare i soggetti che non hanno attività cardiaca elettrica spontanea. Nel 1958 nacque il primo PM impiantabile. Il generatore era inserito in addome ed era collegato agli elettrocateteri, fissati alla superficie esterna del cuore, dopo apertura del torace. Successivamente, negli anni Sessanta, l’evoluzione tecnologica e la ricerca scientifica permisero al medico di impiantare il pacemaker sfruttando il sistema venoso per arrivare al cuore. In quel periodo il pacemaker subì una prima miniaturizzazione per consentire l’impianto in sede prepettorale. A ciò seguirono ulteriori miglioramenti tecnologici che consentirono la produzione di sofisticati dispositivi, carica prolungata, digitalizzazione dei segnali e funzionalità sempre più adatte alle richieste fisiologiche dei pazienti.
Dal 2016 è comparsa una prima generazione di pacemaker senza fili, che vengono rilasciati all’interno del cuore, senza elettrocateteri, a fissazione passiva e una durata di batteria fino a 10 anni circa. Da quest’anno è arrivata una seconda generazione di dispositivi leadless per la stimolazione cardiaca.
Questo dispositivo è rappresentato anch’esso da un unico componente di piccole dimensioni rilasciato nel ventricolo destro attraverso un sistema di supporto che viene inserito dall’inguine e che, attraverso il sistema venoso, accompagna il pacemaker fino all’apice del ventricolo stesso. Il fissaggio al tessuto cardiaco avviene attraverso una vite esposta che viene avanzata, per mezzo di un sistema molto preciso e performante, all’interno del tessuto cardiaco. Dopo la sua fissazione il pacemaker viene rilasciato, l’introduttore, che ne ha permesso l’inserimento fino al cuore, viene estratto. Il dispositivo è così in grado di funzionare senza dare alcun segno esteriore della sua presenza.
“Questa nuova tecnologia – sottolinea Rovaris, responsabile della Struttura semplice di Elettrofisiologia Interventistica e Cardiostimolazione – rappresenta un ulteriore passo in avanti verso un sistema di stimolazione completamente leadless. Infatti, entro pochi mesi sarà disponibile un secondo componente che potrà essere abbandonato in atrio destro, che potrà interagire con la componente in ventricolo destro, rendendo possibile una stimolazione atrio-ventricolare e costituendo così in primo pacemaker bicamerale leadless. Ovviamente, è bene ricordare che come con la stimolazione senza fili, viene ridotto drasticamente il problema delle infezioni del sistema di stimolazione e dei rischi che ciò comporta per il paziente”.
Il nuovo dispositivo di pacemaker leadless, della lunghezza di 38 millimetri in titanio e un peso di 2,4 grammi, possiede tre nuove caratteristiche: una durata media compresa tra 20-25 anni, la possibilità di un aggiornamento a pacemaker bicamerale, la fissazione a vite che permetterà l’espianto per impiantarne uno nuovo quando scarico.
“Il fatto di essere stati scelti per utilizzare questa nuova tecnologia – conclude Rovaris – sottolinea ancora una volta l’importanza come centro elettrofisiologico di riferimento nazionale”.