Tra acquisti, consumi, forniture, manutenzioni, formazione del personale e spese energetiche, nel 2023 lo Stato italiano ha sostenuto un costo complessivo di 122 miliardi di euro, ma ancora una volta non è riuscito a onorare tutti gli impegni economici presi con i propri fornitori. I debiti commerciali della nostra Pubblica Amministrazione (PA), infatti, continuano ad ammontare a circa 50 miliardi di euro, un importo che è praticamente lo stesso da almeno 5 anni. I più penalizzati da questo comportamento così deplorevole sono le piccole imprese. Lo afferma l’ufficio studi della Cgia Mestre.
Infatti, come ha sottolineato anche la Corte dei Conti in una delle sue ultime relazioni, nelle transazioni commerciali con le aziende private la nostra PA sta adottando una prassi che definire “diabolica” è forse riduttivo; salda le fatture di importo maggiore entro i termini di legge, mantenendo così l’Indicatore di Tempestività dei Pagamenti (ITP) entro i limiti previsti dalla norma, ma ritarda intenzionalmente il saldo di quelle con importi minori, penalizzando, così, le imprese fornitrici di prestazioni di beni e servizi con volumi bassi; cioè le piccole imprese.
Non solo. Da qualche tempo si è consolidata una nuova pratica “imposta” da molti dirigenti pubblici, anche di società collegate alle regioni e agli enti locali, che decidono unilateralmente quando i fornitori devono emettere la fattura. Se questi ultimi non si “attengono” a questa disposizione, lavorare in futuro per questo ente/società sarà difficile. Dando l’autorizzazione all’emissione della fattura solo quando l’Amministrazione dispone dei soldi per liquidarla, queste strutture pubbliche riescono a “rispettare” i tempi di pagamento, “aggirando” così le disposizioni previste dalla legge. Una forma di abuso della posizione dominante che risulta essere decisamente “ripugnante”.